Poffarbacco! La primavera è finalmente arrivata.
Quanto tempo è passato!
Ero un giovane marinaio; adesso, coi capelli bianchi, non posso più andare per mare.
Le onde sono rimaste le mie amiche e spesso vado a chiacchierare coi granchi sulla spiaggia, sempre che le poveracce non si intromettano, con il loro cicaleccio, nei nostri discorsi.
C’è il sole. La mia vecchia bicicletta mi aspetta. Anche lei coi capelli bianchi e con un po’ di ruggine. Mi è sempre stata fedele: mai una foratura, mai una raggia rotta. E’ davvero speciale: è sempre venuta con me, in tutti i porti, su tutti i mari, in tutte le tempeste, senza mai vomitare (non soffre il mal di mare). Mi ha sempre accompagnato a trovare le mie ragazze: ne avevo una in ogni porto, come tutti i marinai. Si dice.
Seduto sugli scogli, sul lato destro del molo, guardo l’orizzonte.
I gabbiani accarezzano le onde. Ogni tanto uno si tuffa e fa colazione.
Oggi il mare è calmo e le onde sono piccole piccole. Sono graziosissime.
Avete mai provato a chiamarle per nome? Sono così timide che si nascondono subito e non riuscite più a ritrovarle. Che pace! Che silenzio! Solo sccc... sccc..., quando sfiorano gli scogli.
I vecchi marinai sono tutti un po’ strani: vanno in giro in tutto il mondo, ne combinano e ne vedono di tutti i colori, poi si commuovono per un sasso e qualche ondicella.
C’era un granchio mio amico, nel Mar Cinese Meridionale, che mi chiedeva sempre per quale motivo gli uomini girino di continuo: lui nel suo mare trovava sempre tutto, ogni giorno lo stesso e ogni giorno diverso.
Mi aveva fatto conoscere una stella marina. Erano nati sullo stesso scoglio, nello stesso anno. Lei era più giovane di lui, appena 17 giorni. Avevano sempre giocato insieme ed erano diventati grandi insieme.
Le stelle marine cinesi non hanno gli occhi a mandorla: non hanno gli occhi! I granchi invece sì.
Come si riconoscevano? Lei aveva una grande sensibilità.
Il loro viaggio più lungo? Il terzo scoglio, dopo la grotta grande.
La loro gioia di vivere? Enorme.
Conoscevano, uno per uno, tutti i pesciolini, coloratissimi, che passavano di là.
Come? Erano quelli che, ogni mattina, andavano al lavoro e, ogni sera, tornavano a casa.
I pesci lavorano? Certo. Tutti i pesci lavorano e la domenica fanno festa.
Come noi. Tutti, nel mondo, lavorano. I pesci piccoli, vanno all’asilo. Quelli un po’ più grandi, a scuola. I pesci babbi vanno a lavorare. I pesci mamma, qualcuna anche. Tutti lavorano.
Dio lavora e tutti gli danno una mano. Dio si diverte anche, così tutti si divertono.
Dio gioca e tutti giocano.
E’ bellissimo vedere le alghe quando giocano. Molte volte, nel Golfo del Messico, mettevo la faccia fuori dalla barca, con gli occhi sotto il pelo dell’acqua e guardavo giù! Come ballano bene le alghe! Le ballerine della televisione non sono così brave! E quando si rincorrono? Quando giocano a nascondino? Quante volte le ho rincorse e loro scappavano di qua e di là.
Adesso sono qui, sugli scogli, alla destra del porto. Come è bella Rimini! Il mio babbo, pescatore, aveva una casetta. Adesso ci abito io. Ogni mattina sento l’odore del mare, come lui lo ha sentito.
Lui non è mai andato oltre Pesaro. A Perth, Adelaide, Valparaiso e Vladivostok ho amici.
Ricevo ancora cartoline da una ragazza di Rapa Nui. Una ragazza che adesso è nonna.
Molto tempo fa, a Taiwan ho conosciuto Ta Wei. Un cinese tutto speciale. Per essere cinese, era cinese; ma non aveva gli occhi a mandorla. Non era neppure giallo. Aveva un che di africano. Era un boss, cioè un capo. Un vero boss. Quando andava all’asilo, tutti i suoi amici lo aspettavano sulla porta. Lui avanzava con aria importante. Si faceva largo, con la testa alta e diceva questo e quest’altro. Aveva cinque anni. Chissà cosa farà adesso?
Era bravissimo a fare i puzzle. Era un po’ dispettoso con le sue sorelline; ma, lui boss, aveva paura della sua sorellina Fan Ci, che diceva sempre: “Sono grande, io!”
Dormiva nel letto a castello su in alto.
Come dormiva! Appena sveglio, però, si metteva a giocare. Aveva una gran voglia di vivere.
In macchina, coi suoi genitori, occupava il posto di comando: dietro, nel bagagliaio della Station Wagon, sul suo trono, mandava avanti il mondo. Fantasticava, ascoltava, cantava, guidava. Dal suo ponte di comando tutto gli obbediva. Si addormentava anche, e tutto continuava secondo i suoi ordini. La mamma lo prendeva in braccio e lui, tranquillo, appoggiato al suo petto, sognando, controllava che tutto funzionasse.
Aveva un babbo così forte! A lui dava ascolto; ma impuntandosi anche, a volte. Le mamme, si sa, sono le mamme: ti prendono col miele.
Aveva tanti di quei giocattoli! Uno però era il suo preferito, un capitano spaziale: aveva un nome così strano, che non ricordo più. Povero me, come sono vecchio!
Abitava in una casa con le sbarre alle finestre ed alla porta; ma non era una prigione.
Chissà cosa starà facendo? Chissà quando lo rivedrò? Chissà come sarà diventato grande?
Ta Wei non era un marinaio; ma aveva il cuore del marinaio.
Una volta, mentre esplorava un oceano, gli capitò di cadere in mare. Riuscì a cavarsela; ma che paura? Se ci fossero stati gli squali?
Tutto era successo nella vasca di un giardino di Taipei.
Senza temere, bagnato fradicio, ne era venuto fuori. Aveva anche bevuto. Chi se ne importa? I comandanti non hanno paura. Le bambine attorno erano ancora spaventate, e anche le mamme. Lui ci rideva su.
La sua mamma lo aveva visto fradicio e gli aveva fatto la doccia: l’oceano era tutto sporco; ma lui aveva vinto gli squali, era uscito sano e salvo.
Dio benedica tutti i Ta Wei del mondo.
Ta Wei era un esploratore nato: dietro ogni siepe, nel parco più bello e sicuro del mondo, trovava leoni da combattere e draghi da cui difendere tutti, le sorelle e la mamma per prime, il babbo e tutta la gente poi.
Al buio sapeva riconoscere le case dei ragni. Lasciava lì anche le patatine di Mac Donald’s pur di andare alla scoperta dei pesci volanti e degli uccelli acrobati.
Ta Wei è il più grande cinese che io abbia mai conosciuto.
E sì che ne ho conosciuta di gente!
Un passerotto venuto dall’altra parte del mare si posa di fianco a me. E’ stanco, stremato. Ha fatto un volo impossibile.
Più volte si è appoggiato sul bordo di una barca di passaggio. Viene dall’altra parte del mare di fronte a Rimini.
Come ha fatto? E’ lunga la strada.
Non ne può più e gli do un po’ di mollica del mio panino.
“Mi hanno bruciato il nido. - ansima - Non ho più il nido. La mia moglie, i miei passerotti piccoli... Sono di là, su un ramo di fortuna, senza niente. Siamo scappati, non c’è più il bosco. Senza nidi come si fa? Marinaio, aiutami!”
Quante volte, senza casa, ho girato qua e là!
Quante volte, nei paesi più lontani sono stato aiutato!
Gli ho offerto il ramo più bello dell’albero più grande del mio giardino.
Fra poco andrà a prendere anche la sua famiglia.
Ogni mattina taglio a metà il mio panino e gli do da mangiare.
Ogni tanto ritorniamo insieme sugli scogli e lui guarda di là.
Piange.
Mi parla del suo bosco bruciato.
Ogni mattina, si sveglia e canta.
Mi sveglia e insieme preghiamo Gesù che fermi il fuoco, sull’altra sponda di questo mare che amo, che ho sempre amato, che amerò fino alla fine della mia vita, e sempre.
I boschi sono fatti per tutti.
Anche il mare è di tutti.
La mia casa, la mia terra.
Rimini, bellissima, è per tutti.
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