sabato, dicembre 12, 2020

Una ragazza di 100 anni

Occhi piccoli, sgranati, sempre aperti
Limpida, serena, sempre attenta
Disposta ai figli ed ai vicini
Amante del marito, del suo Mario.
Una chioma bianca, riccia, birichina

Non è difficile scrivere di una donna che ha sempre dato tutto, generando pace e serenità attorno a sé. Nella sua villetta col giardino e la scala esterna, da mamma o nel piccolo pied-à-terre, quando erano arrivati i suoi nipoti e sua figlia aveva bisogno della casa più grande.
Una figlia che in tanti avevano corteggiato e si era scelto infine un sindacalista.

E Mario, il suo Mario, un uomo che tante avrebbero invidiato anche oggi, se solo le ragazze moderne cercassero un uomo che voglia loro bene e sia un lavoratore.

Mario da solo meriterebbe un libro e con la Bertina occuperebbero due volumi; invece hanno solo poche righe di un ammiratore pigro e distratto eppure riconoscente. Sì perché, senza considerare l’aiuto concreto di cui è stato oggetto da parte di questa coppia di ragazzi coi capelli bianchi, ha avuto da loro una lezione di vita: si può vivere così! Si può amarsi così e amare la gente attorno a sé, dalla parrocchia agli amici dei figli, da più semplici ai più importanti. Si può, rimanendo semplici e giovani.

Il vecchio carrozziere tanto geniale si era ritirato con lei nell’appartamentino, ma non aveva smesso di lavorare. Nel suo gabbiotto con tanta roba e tanti strumenti, sempre perfettamente in ordine, continuava a costruire, riparando, elaborando, mentre Bertina teneva la casetta pulita, ordinata, preparando da mangiare e accogliendo gli ospiti con tanta gioia. Mario ne godeva, perché, come tutti i maschi romagnoli, non faceva da mangiare ed era sempre servito di tutto punto. Ma le voleva bene al punto che un bel giorno, in cui la Bertina stava male, si era spinto a dirle: “Nu bazila, Bertina, a me faz da par me e tè oz” (Non preoccuparti, Bertina, oggi il tè me lo faccio da solo). Lei rise a questa battuta e la raccontava divertita.

Quando arrivava Bubi era un’altra cosa, come per i nipoti. Bubi poteva capitare quando voleva, per lui il cancello era sempre aperto. Era un ragazzo, un amico di suo figlio Maurizio e si era fatto prete. Due punti di merito: amico e sacerdote. Grandi chiacchierate, grande divertimento e anche discorsi seri.

Bubi era capitato, non si sa come, il giorno del compleanno della Bertina, i suoi 100 anni e c’era Maurizio e la Maria e i pasticcini e lei lo riconobbe. Strano perché a volte non riconosceva più nemmeno i figli…

Così viveva e visse i suoi ultimi giorni, in casa, con la sua Maria e i suoi Bernardo, Edvige, dalla sua stanza alla cucina, al bagno, stando attenti.

Un giorno si mise a letto e un respiro dopo l’altro, in silenzio, semplice com’era vissuta, con i suoi figli vicino, quando in Paradiso decisero di chiamarla, lei diede l’ultimo respiro, in silenzio e partì.

Ciao, Bertina. As vidém (Arrivederci)




lunedì, giugno 08, 2020

Lei

Non so cosa darei per rivedere quella bambina di 9-10 anni, che mi guardava contenta con la bocca spalancata aggrappata all’asta della doccia in spiaggia quel giorno d’estate in cui, chissà perché, avevo proposto le Olimpiadi ai bambini del Centro Spastici e Miodistrofici di Brescia e ai loro fratellini sani.
Un richiamo, una specie di dolce grugnito – non sapeva parlare – e io mi volto, la vedo commosso e affascinato, volto la testa e chiudo gli occhi, stupito da tanto osare e da tanta grazia. Ancora mi si bagnano gli occhi.
Dopo le gare, stupende, i cui unici spettatori eravamo noi, il giudice e i piccoli atleti, sulla sabbia di una piccola frazione del Comune di Cervia, Pinarella, decido e propongo le premiazioni, vere, con medaglie vere, di spago e di cartone.
E Lei, lei, la piccola signorina che oggi, a Dio piacendo, sarà una donna matura, lei che non si era mai messa in piedi perché non era mai riuscita fin da piccola, in nessun modo, da sola, come un ramo di edera si era avvolta al palo della doccia, ora avvinghiata sorrideva e godeva del suo essere in piedi con la bocca aperta e gli occhi…solo in Paradiso si guarda così. Dio, non reggo lo sguardo, chi sono? che felicità m’invade? che gioia mi chiude gli occhi.
L’abbraccio, l’abbraccerei ancora adesso, Covid o non Covid. La prima Medaglia di Cartone è la sua. Ha vinto tutto d’un colpo, mi ha inferto un knock out difficile da scordare.

Quei bambini. Quei genitori…

Quanti di loro…chissà?... quella mamma bellissima, occhi e capelli neri, che mi ha chiesto: “perché proprio a me?”. Non so che dire, la guardo, stacco le mani dal suo piccolo “vegetale” e le dico. “Non so. Dio ha molta fiducia in Lei; io non saprei portarlo”. Che cosa dico? Fugge in pianto. Bellissima, giovanissima. Lo credo ancora oggi. Dio aveva molta fiducia in lei; ma a me cosa scappa detto? Torno a lui, lo guardo: nulla di nulla, immobile, una piccola pianta, lo sguardo nel vuoto, nessuna reazione. Mi allontano, decido: “Non serve a nulla. Appendo le mani al chiodo. Basta. Il mio lavoro è inutile. Lo guardo negli occhi senza fede. Un brillìo, un lampo, un attimo, minuscolo e nella mia testa, nella mente una voce, fisica: “Io ci sono!” Poi nulla. Stesso sguardo nel vuoto, stessa immobilità. Sono solo. Capisco. Torno a fargli le stesse cose “inutili”, forse non cambierà mai, la piccola pianta immobile che ha fatto piangere sua mamma senza volerlo – forse non si è nemmeno resa conto – Sì. Continuerò a fare il fisioterapista, le stesse cose “inutili”, perché Lui c’è, lui c’è. Non so come, ma c’è.
Chissà quante lacrime amare avrà versato sua mamma ancora, la bellissima donna con gli occhi neri e i capelli neri, che ora sarà, se Dio vuole, una bellissima signora anziana con la testa bianca e la sua “piantina” chissà, che ha salvato un giovane fisioterapista alle prime armi, decisamente pazzo e sempre tentato di dire che tutto è inutile, perché, prima o poi, tutti si muore e allora che cosa vale la pena? Zitto immobile, l’ha salvato! Qui salvandos salvas gratis…un bambino che tutti considerano inutile e che era stato mandato a sua mamma perché unica capace di averne cura. Lei.

I fisioterapisti sono tutti un po’ matti, ma c’è chi matto lo è davvero e anche violento. Mi fa ancora un po’ saltare la mosca al naso quel bambino che, sfacciatamente, da birichino, non voleva fare la terapia e le studiava tutte. Non bastavano le carezze, gli inviti, le sollecitazioni per fargli capire che era conveniente per lui muoversi quel poco, fare gli esercizi. Non si arrabbiava, non si intristiva, semplicemente irrideva, prendeva in giro, per dirla così., finché un bel giorno di sole, caldo, cocente, nell’ora più tosta, l’ho preso e l’ho portato di peso in mezzo alla sabbia a circa 150 metri di distanza da tutto, un campo da calcio e forse più di lunghezza e gli ho detto: “Adesso torni da solo”. Sua mamma era lì e guadava stupita. “Guai a Lei se lo va a prendere” dissi arrabbiatissimo. Senza berretto, solo coi mutandini da bagno. “Voglio proprio vedere se si muove o no” pensai…e me lo dimenticai lì. Sua mamma fu brava, non andò a prenderlo e lui, dopo un’ora e mezzo me lo trovai lì, fuori della porta della cabina che ci faceva da piccola palestra “da campo”. Contento e sorridente. “M’è andata bene” pensai. Per la prima volta gattonando aveva superato se stesso. Ci eravamo sfidati e lui aveva vinto. Diventammo amici; cominciò a lavorare e m’insegnò molto.

Le mamme ci sono con questi bambini, soffrono, pregano, ma non indietreggiano. Sono figli come gli altri. I babbi ci sono, ma non ci sono. Hanno una presenza fisica, utile, necessaria; ma non ci sono. E’ strano, ma noi maschi siamo così e lo ritrovavo anche in me. Guardiamo questi bambini, ma non capiamo. Quei genitori maschi non facevano mancare niente, presenti e assenti al tempo stesso. Le mamme no. Le mamme li portano dentro e li portano fuori, perché sono pezzi di cuore, come si dice. Soffrono, anche molto, ma non indietreggiano, non fanno passi indietro. Sono loro. I babbi sono smarriti, come se non si rendessero conto fino in fondo e si aspettassero un miracolo, come i sogni del mattino. Sono loro, ma non sono loro. E’ davvero strano. Figli senza futuro, figli che non continueranno la loro opera.
Tranne uno. Questo babbo, anziano ai miei occhi, ma appena più grande, dirigeva il campo. Lui era presente. Eccome. Babbo come tutti, anche suo figlio era lì, come gli altri, eppure così attento, così presente a tutti. Non aveva problemi, sereno davanti al figlio e ai figli “sani”, perché la genialità era quella: la vacanza era per tutta la famiglia, fratelli e sorelle, tutti, grandi e piccoli, sani o con handicap. Suo figlio era come tutti i bambini e tutti i bambini erano come suo figlio.

C’era il bambino Down intrattabile se non con la musica e la bambina, la mia prima piccola paziente, che nel mio cuore ha un posto speciale. Non avevo nemmeno un’idea di come si mettono le mani su una bambina affetta da spasticità e volevo scappare. Ringrazio ancora la mia collega, la mia amica, che, con uno sguardo deciso, dopo avermi sollecitato più volte, se ne usci dalla “palestrina” lasciandomi solo con la piccola che mi guardava. Appoggiai le mie mani e cominciai Dio sa come a trattarla. Ad un certo punto lei si addormentò ed io vidi, stupito, sparire la spasticità sotto i miei occhi. Non credevo ai miei occhi: quelle braccia rigide, quelle gambe da canocchia adesso stavano dove le mettevi. Nessuno ancora mi ha dato la spiegazione, ancora adesso che non lavoro più. La spasticità nel sonno non esiste. Si svegliò e tutto cominciò come prima. Le sue piccole braccia rigide e incostanti. Le sue gambe che non andavano dove lei voleva e gli occhi che mi guardano con una domanda infinita.
Lei, che chissà… Lei che mi ha dato tanto, che un giorno spero, come tutti gli altri, di rivedere, ai quali chiedere scusa per la mia goffaggine, per la mia incomprensione, pigrizia e pochezza.

Un amico carissimo, al mio rassegnato dispiacere di non poter più lavorare come fisioterapista, rispose: “Cosa c’è di meglio che fare la volontà di Dio?”
Ecco la volontà di Dio… e questi piccoli compagni di strada che allora, come oggi, mi tengono per mano fino a ritrovarci tutti, perché io non so dove lei, la piccola tenace “olimpionica” ora sia e come sia, so che c’è e ci ritroveremo, e neppure gli altri dove sono, ma ci ritroveremo, lo so, magari dove le Medaglie di Cartone sono d’Oro e d’oro zecchino come non se ne trovano al mondo e non se ne troveranno mai in nessuna miniera.





lunedì, gennaio 20, 2020

Un vestito non vestito ovvero Un vestito che non c'è


Le api, poverine, sono quelle che ci rimettono di più: sempre in giro per raccogliere il polline e farne scorta; se l'uomo usa i pesticidi, esse si avvelenano e muoiono. Soffrono il freddo e perciò dormono abbracciate.
Marcello camminava nel giardino mentre le api correvano tutt'intorno per il loro lavoro, andava su e giù, tra i fiori colorati pieni di profumo e pensava, pensava, poveretto, perchè aveva un bel problema...

Le api, da che mondo è mondo, sono belle, vanno d'accordo, si aiutano e non usano vestiti, eppure sono belle...come i fiori d'altronde, che non filano, non cuciono, eppure nessun uomo al mondo, da che mondo è mondo, è mai stato vestito così bene, nemmeno i re e gli imperatori, neppure Melania Trump e Coco Chanel.

Marcello non sopportava il peso del vestito e la scomodoità dei pantaloni, fossero pure quelli corti d'estate. Ricordava ben l'impiccio del suo costumino da bagno di lana con le bretelle, quando era piccolo al mare e il fastidioso arrossamento nelle gambe perché restava sempre bagnato dell'acqua del mare e la mamma lo cambiava coprendolo con l'asciugamano.
Non si dava pace.
Non poteva girare nudo, perché quando è freddo è freddo, e poi per rispetto verso i suoi amici e la ragazza della porta accanto ed anche per una questione di gusto...bello era bello, ma non era mica un'ape o un fiore!
Amava tantissimo le farfalle, questi simpatici vermetti volanti che, quanto a eleganza, non temono confronto con le più grandi "maison" francesi e italiane, da Valentino a Tom Ford, da Armani a Chanel. Non c'era partita: le farfalle, maschi e femmine, vestono così bene che c'è solo da contemplarle stupiti: non c'è sarto che batta in fantasia  e varietà di abbinamento di colori Chi le veste...eppure sono solo vermetti!

Marcello aveva letto da qualche parte che le farfalle erano incolori, non usavano tinte.
Microscopici prismetti "incollati" sulle ali rifrangevano la luce, come fa il sole con le goccioline d'acqua nel cielo dopo la tempesta e voilà l'arcobaleno.
Ne era uscito pazzo  e si era messo a pensare ad un vestito non vestito, cioè ad un vestito che non cè. "Le ali delle farfalle sono trasparenti, sembrano colorate; io voglio un vestito che non c'è e sembra che ci sia. Semplice, no?! Niente peso di vestiti, niente maniche strette o larghe, niente pantaloni lunghi o impicciosi, nudo come mamma mi ha fatto, col caldo e col freddo, senza sudare o tremare coi brividi, bello ed elegante come i fiori e le farfalle, semplice e modesto, comodo come un pigiama".

Marcello, a dire il vero, era un po' fissato, oggi lo direbbero "autistico", con tutto il rispetto per questi bambini più che intelligenti: in giardino, a scuola, in treno, in bagno, per la strada, in chiesa, nel supermercato, ovunque si trovasse pensava alla sua "invenzione", perché prima o poi l'avrebbe trovata!
Una semplice cintura o un cerchietto sulla testa? Un bracciale al polso sinistro o un anello alla caviglia? 
Una sorta di piccolo bottone o un gioiellino per le femmine, che potesse generare una sorta di campo elettromagnetico o forse quantistico, che, perfettamente aderente al corpo in ogni sua parte, sporgenza o anfratto, potesse far apparire a piacere tutti i colori voluti, nella combinazione più opportuna e gradita e magari profumati così da non esserci più bisogno di distinguere le persone per razza o igiene quotidiana: un vestito cangiante a volontà, secondo le stagioni e il clima, le occasioni sociali o private, perfino in bagno o sotto la doccia.
Un vestito secondo la propria fantasia creatrice, secondo la propria mente.
Senza bisogno di armadi o di cassetti dove ripiegarli e riporli per tipo e per colore, per cambio di stagione.

Un vestito che non c'è!

Marcello passò tutta la propria vita a pensarlo, tutta la vita ammirò le api e le farfalle, tutti i suoi giorni si chinò sui fiori per goderne il profumo, ammirando e ringraziando chi li aveva voluti così
Non finì in manicomio come speravano tutti i suoi nemici, che nemici poi non erano, ma solo persone che non capivano.

"D'altra parte - ripeteva spesso - la Madonna quando appare è sempre bellissima e con vestiti sempre nuovi e splendenti. Chissà se Lei sa come si fa, se in Paradiso ci sono vestiti non vestiti?"

Una bella mattina di primavera, a metà del mese di Maggio, lo ritrovarono tra i fiori, seduto, con la testa leggermente reclinata sul lato sinistro. Aveva un vestito bellissimo. Lo raccolsero così, sembrava dormisse. Lo portarono in casa, lo adagiarono sul letto, fecero per togliergli il vestito...quale vestito? Non c'era!
Sul volto un sorriso appena accennato.
La Grande Signora, che aveva avuto tanta pazienza con lui, gli aveva svelato il segreto: il "vestito che non c'è" c'è! 
C'è, ma solo nella Sua Casa!