giovedì, dicembre 19, 2019

ΠΑΙΑΝΙΖΩΜΕΝ !


ΠΑΙΑΝΙΖΩΜΕΝ !
Innalziamo il nostro canto di vittoria!

Fin qui arrivavano anche i Greci, quel popolo saggio. Ci arrivavano anche i cinesi, geniali, acuti, tenaci, inventivi. Fin qui. Che un dio potesse salvare e condurre alla vittoria, l’uomo l’ha sempre creduto. Un dio, qualsiasi dio, Apollo in primis o il Signore del Cielo, Tien Zhu.
Ma che un povero ragazzo sfortunato, nato malato fin dal seno di sua madre, figlio di un semplice operaio di un piccolissimo Stato, di una repubblica antichissima e gentile, potesse innalzare il suo canto di vittoria con tutti i suoi cari, questo era inconcepibile, strano, assurdo, da illusi.

Francesco è il suo nome. Appena uscito dalla pancia della mamma, nemmeno il tempo di gridare il suo primo vagito, è subito portato in sala operatoria. I medici hanno deciso di salvarlo – non sono dei – ma questo bambino deve vivere; qual è il suo compito?
Comincia subito a soffrire, il cuore non tiene, non può tenere.

“Signora, Signore, l’aborto è l’unica opzione”. Che sentenza terribile!
Il povero operaio non ha dubbi. Deve nascere, deve vivere. Dio lo vuole e noi chi siamo per dirgli di no?
Sdraiata nel letto, immobile, quasi disperata, la mamma trema al solo pensiero: “Cosa sarà di lui?” Allunga una mano, afferra la corona. Una grande pace l’avvolge. Francesco nascerà. Ed eccolo là, sotto i ferri e quelle facce affannate coi camici bianchi, che nemmeno vede, dei quali nemmeno conosce il significato.

La piccola Elisa lo vede vivere, casa e ospedale, ospedale e casa, giorni, anni… non ha mai avuto dubbi: il suo fratellino è suo e non lo abbandonerà mai, da piccolo, da grande e, se Dio vorrà, da vecchio, chissà?!

Gli zii, le zie, gli amici, le amiche, le maestre, i prof, tutti ne godono. Allegro, vivace, sereno, scanzonato, furbetto davanti alla matematica, “perché, sa, Prof, io sono malato”. I giochi al PC, la birra del babbo, gli aghi nel braccio, gli scherzi agli amici. Chi lo ammazza più?
I pranzi, le feste, le carissime cugine, lo zio preferito che lo introduce ai misteri dei motorii e dell’informatica, con cui fa lunghe chiacchierate disteso sul divano e le labbra viola, sempre più viola, il cuore che non si arrende e non cede, ma ansima e tutto costa tanto, perfino muoversi un po’.

Ventun anni sono lunghi e corti al tempo stesso. Una volta si era appena maggiorenni. Ogni anno conquistato a fatica, come gli 8.000 del K2 e Francesco non molla.

Il babbo – che grazia avere un babbo che ti accompagna roccioso, forte e sempre vicino, come il bastone che si mette agli alberi in crescita perché il vento della vita non li schianti a terra!
La mamma, che quando a freddo sente freddo anche per te, la donna che ti avvolge e che ti porta a scuola sfidando vigili e invorniti, la donna che non crolla quando tutto sembra crollare. La mamma così fragile e forte che perfino Gesù ha voluto per lui e di cui si fida quasi da illuso.

Il cuore che arriva e non arriva, il cuore di un altro che potrebbe fornirti un po’ di vita in più.
Quel cuore nato già stanco. che non si è mai stancato, vorrebbe tanto riposarsi.

Ed ecco si ferma. Nessuno può nulla più. Piangono i medici, piange la mamma e si stringe al babbo. Quanto amore e quanta pace in questo abbraccio! Riconsegnano insieme il dono che insieme hanno ricevuto e custodito.

Che gran dolore e che grande pace!

Ventun anni di fronte al mondo e di fronte all’eterno cosa sono mai? 
Francesco non è più; è più forte di prima.
Quel cuore riposa e batte, fermo, costante, ora, senza più esitare, senza bisogno di medicine. Batte. Batte. Per tutti noi, che abbiamo avuto la grazia di camminare con lui. Ci aspetta. Ci chiama. Ci batte la strada.

Ecco, oggi, noi tutti, innalziamo il nostro canto di vittoria. Surrexit Dominus vere.
Ecco nasce, fra poco e sempre, nasce il Dio che salva, il Dio che vince.

Nessuno avrebbe puntato un euro sulla vita di Francesco; Dio stesso l’ha compiuta e come l’ha compiuta! 
Noi tutti ne siamo testimoni.