martedì, ottobre 30, 2018

La prima


Occhi belli, sorriso sempre pronto.
Smalto alle unghie, colore rosa perla e capelli in ordine.
Niente baffetti.
Una segretaria perfetta.

Tanti amici ed una compagnia per la vita.
Già. Per la vita.
Un babbo ed una mamma come tutti, due figli, un maschio ed una femmina, come si conviene.
Una nuora bellissima, una cantante di non poco valore, quanto basta per vantarsene e per essere umilmente contenta.
Due nipoti, un maschio ed una femmina, con ricci a non finire e incantevoli.
Parenti e amici che le vogliono bene e tanta pazienza, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia.

Un’amica grande l’ha voluta per prima accanto a sé.
La prima.
Prima ed unica in famiglia, prima ed unica nel lavoro, nella scuola.
Prima fra gli amici a guardarli con gli occhi aperti della fede e della gratitudine.
Quegli occhi. Così belli!
Che danno pace anche quando richiamano o chiedono o guardano in silenzio.

“Mulierem fortem quis inveniet?” si chiede il Libro dei Libri.
Il giovane pittore la incontrò un giorno come questi d’autunno.
Solo in quattro nel locale. “Permette? Balliamo?”
Galeotto fu il ballo.
E fu una storia.

La vita è un sogno, si dice e non lo è.
E’ un disegno, una strada, la vita è ciò che c’è.
Fra alti e bassi trascorre senza posa e sembra, ma chissà cosa davvero?!

L’amica del Destino l’ha voluta con sé, per prima, nella casa in cui tutti andremo, a Dio piacendo e a noi.
Una casa l’hanno tutti, anche gli zingari, il luogo della pace e dell’affetto.

Prima fra tanti amici, preferita, lei così ambiziosa e così umile, così tenace e battagliera.
Non ha paura del male e non si dà per persa, non gli ha mai ceduto, mai rassegnata, mai sconfitta. Un povero prete amico le stringe la mano, afferrata si afferra, non cede, si affida, consola, sostiene, chiama, chiede.
Quel male non perdona, si nasconde, rispunta, si riaccende e schianta.
Il corpo, ma l’anima no.
C’è Uno che vince; con Lui anche lei.
Mano nella mano, cuore nel cuore.
A pochi giorni dalla festa dei santi è giunta, accolta ed attesa.

Giuliana, prega per noi.

lunedì, agosto 27, 2018

Il Maestro dei Due Pagliai


Due file di bambini, i più piccoli seduti a terra. 23 grembiulini neri, colletti bianchi e fiocco al collo. Il bianco e nero non rende i colori. Una vecchia casa colonica con pergolato d’uva. Un giovane Maestro in posa austera e due pagliai a fare da sfondo.
La fine della guerra non aveva ancora 10 anni e loro appena 6. Le bombe inesplose facevano ancora paura, ma loro, i piccoli, godevano della vita, in un piccolo paese del preappennino già glorioso per storia e natali.
Sul promontorio che chiude la valle e la sorveglia ancora come ai tempi di Roma ed ancor prima, i giovani marmocchi con le aste e i quaderni cominciavano la loro avventura da giovani scolari protesi alla conquista di ponti, industrie chissà, di campi da curare e pecore da pascolare, chi votato per nascita a grandi traguardi e chi semplice barbiere, chi destinato a viaggi e commerci e chi umile nonno di nipoti.
La vita è un mistero!
Non c’erano femmine fra loro.
Le classi rigorosamente separate, calzoni corti per gli uni, sottane a vita per le altre.
Così almeno si viveva allora.
La fontanella all’angolo dell’arco vicino alla scuola non c’è più e neppure i buoi, le oche ed i cavalli che li incuriosivano nei giorni di fiera, perché la scuola si affacciava sul campo dove i sensali concludevano gli scambi con una stretta di mano, che vale più dei contratti a 10 pagine di oggi
Due piani la casetta, due rampe di scale fino alle aule, che occupava il piano alto, il primo, e gli angoli utili per il gioco dei quattro cantoni.
I bambini si divertono con poco: la compagnia degli amici e quello che trovano in giro.

Al Maestro manca davvero poco per fare 100, gli anni tondi tondi di una vita passata a insegnare, a mettere su famiglia e nipoti, a soffrire e godere, come ogni uomo, nel breve tempo, che passa tra la nascita e la morte.
I bambini sono ancora vivi, qualcuno sì qualcuno no, per vari motivi; ma non hanno più i calzoncini corti. Uomini, nonni, belli come allora, con qualche ruga in più e allegri come un tempo.
Attorno alla tavola lunga della piccola vecchia osteria pasteggiano bevendo e gridano a voce alta e incurante come nella ricreazione di un tempo, quando si buttavano di corsa giù per le scale a scendere nel campo.
Il vecchio Maestro ascolta e li riguarda. “Maestro, l’appello; faccia ancora l’appello. Lì ci sono i nostri nomi!”. Il Maestro, come allora, invita a ringraziare Colui che ci è padre e tutti insieme, vecchi scolaretti, in piedi, laici e non, in mezzo all'Osteria, preghiamo. Il Maestro accenna a un discorso, un richiamo a essere degni di chi li ha preceduti in quest’augusta città, piena di storia e di onore. “Desidero essere ricordato da voi come il maestro dei due pagliai”, lui che era all’avanguardia nei metodi e nello stile di insegnamento. Maestri si è per sempre.
Una portata dietro l’altra scorrono i piatti e si riempiono i bicchieri. Un antipastino con triangolini di piada e pezzi di pane casareccio, dei cassoncini di patate e verdurine a pezzi cotte e unte quanto basta lasciano il posto piano piano, nel gentile ossequioso servizio della cameriera, a piatti di ravioli e strozzapreti, pollo e salsicce, costicce e castrato, con listarelle di pancetta, innaffiato il tutto da un generoso e sano sangiovese nostrano. Urla, ricordi, risate e commenti si rincorrono di qua e di là fino a raggiungere un gruppetto di ragazzi nel cortile, che, vestiti da finti figli dei fiori, li invitano a cantare l’inno nazionale di questa terra, “Romagna mia”.
Chi ha fatto carriera e cura gli interessi dei preti, chi si è scoperto artista dopo una vita a fare l’ingegnere, chi non segue più le pecore dopo la scuola, chi ha fatto il venditore di una Ditta dal nome famoso in ogni dove, chi ha girato il mondo vendendo armi antiche, ma funzionanti, e chi in pensione dopo una vita a dirigere una banca, il più bravo e studioso della classe che, giustamente, ora è l’ultimo di tutti, tutti godono della reciproca compagnia.
Il tempo non è passato invano. Il tempo, si dice, è galantuomo e porta a compimento quello che è stato seminato, come recita la targa di ringraziamento al Maestro di tanta infanzia “Anche nei terreni più aridi, il seme ben coltivato germoglia”. Il Maestro regala a ciascuno un piccolo libretto di lingua romagnola, che lui non sa parlare, come a farsi scolaro dei suoi scolari, che l'hanno avuta da sempre come lingua madre.

64 lunghi anni sono passati. I due pagliai non ci sono più. La vecchia scuola ha lasciato il posto al Museo e la fontanella scorre forse nascosta dietro un muro di cemento. Al posto del Foro Boario c’è un giardino ben curato e la strada della vecchia casa colonica è asfaltata e ben percorsa da tante auto. Sul marciapiede che non c’era 12 uomini e un Maestro rifanno di nuovo la foto, che li ha visti bambini.
Nessuno ha il grembiule e nessuno siede a terra – siamo ancora capaci di reggerci in piedi per ora. Quelli che mancano ci sono lo stesso, quelli “partiti” ci guardano dal Cielo. 64 anni e tanto piacere di rivederci. Non ci sono le donne, come allora, le mogli aspettano fuori, qualcuna si azzarda a raggiungerci dopo il pranzo, rimessa subito fuori al suo posto, come al modo romagnolo.
Le donne negli affari degli uomini…

Saluti, ringraziamenti, arrivederci ai prossimi 64 anni o no, meglio prima, chissà?
Che bella idea questo pranzo fra amici di classe!
La Prima Elementare del ’54!


domenica, agosto 12, 2018

Tre donne intorno al cor mi son venute

Il piccolo ruscello scende dalla collina fra sassi e cespugli, attraversa la strada sotto un piccolo ponte, piega da un lato all’improvviso  e corre sulla porta della casetta sul bordo del campo, dove abita la Rosina.
Alcune volte, senza chiedere il permesso, entra anche in casa, quando vento e tempesta schiaffeggiano quella valle così cara alla Madonna.
“La ragneva ma tot, ma  l’era la ma ad tot”[1]
Rosina è partita. Se né andata in Paradiso, dalla città sul mare dove l’hanno portata perché non ce la faceva più. Tanti anni passati a chiacchierare con la sua Madonnina, tanti anni a tenerle pulita la casa, a ricevere i suoi ospiti, a stare con Lei da sola. “Ti saluto, Madonnina” quando entrava e “Ti saluto, Madonnina” quando usciva. 
La chiesa di Valliano è lì dal IV secolo. La custodiva da anni. Il giorno delle feste e i giorni del lavoro. Quante volte aveva fatto quella salita! Fino a quando, un giorno di primavera , s era abbandonata sul petto del prete che lei amava e gli aveva confidato: “Non so se ci vedremo ancora…” 
La Madonnina l’aspettava…


Chissà se a Filadelfia c’è un ruscello o un fiume grande?! 
E’ così lontana la città dove  si amano i fratelli e dove fu scritta la libertà degli americani, quegli stessi che poi lanciarono l’apocalisse su Nagasaki!
Una bambina, una giovane sposa, una mamma, una prof, che amava i suoi ragazzi. 
Colette fu italiana a causa del marito e parlava così bene la nuova lingua che tutti ne erano stupiti. Sempre allegra, sempre serena, sempre grata… fino al giorno in cui il suo fegato impazzì e dopo pochi mesi Colette fu, la pancia gonfia e senza più capelli. 
E’ strano! Tutto passa, il tempo ruba la vita e la trasforma, la porta al nulla, sembra, come ombra che passa, eppure… il giorno che il Pope incensò la salma fra i canti e le preghiere, Colette radunò tanti amici, diversi, cristiani divisi, tutti attorno a lei, tutti tristi e lieti, perfino i ragazzini compunti e presenti, senza lacrime disperate, con dolci sorrisi e sereni.
Un umile piccolo cimitero di campagna accoglie la figlia dell’orgogliosa aquila dalla testa bianca.
Ut unum sint.


Non c’è pace in Europa. Un semplice soldato tedesco muore colpito dal fuoco nemico. 
Dalla parte giusta o no, la guerra è assurda e senza senso, distrugge cose e persone, lascia orfani i bambini. Che colpa ne hanno? 
Un anno è poco. Non sai nemmeno che volto ha tuo babbo e non lo conoscerai mai. 
La piccola bambina solo nel racconto della mamma lo vede e lo desidera. 
“L’anima mia desidera il Tuo volto”.
Il tempo trascina con sé anche i bambini. Pur soli e disperati diventano grandi.
La Baviera è cattolica e si va a Messa la Domenica, più o meno certi  della presenza di un Dio buono.
Christa va e ogni tanto prega. Qual è la mia strada?
Un volto, una vicina di casa coi capelli scuri, una strana tedesca, per lei così bionda e così ariana.
Una tazza di tè e diventano amiche, confidenti, sorelle. 
Una vita insieme, le vacanze insieme, in Italia, con altri amici. E’ la loro famiglia.
Christa è silenziosa, atletica, corre per le montagne.
Una visita e la triste notizia. Pochi mesi di vita. Il male del secolo ha colpito ancora, quello che non guarda i confini, non si cura dell’età e prende possesso della carne altrui come fosse la propria.
Christa è lieta, serena, gioiosa. “Conoscerò mio padre e tutti quelli che mi aspettano”.
Un pranzo per gli amici  e la festa di un incontro atteso e desiderato. Tutto è buono.
Christa è bella, molto più bella ora di quando era giovane. 
Gli amici vanno per farle coraggio e tornano consolati.
Non è un funerale; è una festa.

Il tempo fa così, si riempie passando, non porta via, compie.
Si compiono gli anni e cresce la vita. Il tempo è un cammino.

Il piccolo ruscello, il dolce Rio Melo, scorre sempre sotto la strada, poi sbuca e s’immerge gorgogliando nel campo a valle, verso il mare.

“Tempus sicut umbra fugit et nulla est mora” è scritto sulla meridiana di una chiesa polacca.

Il tempo fugge come l’ombra e non v’è pausa.
Il tempo compie come il mare e non v’è dubbio.



[1] Sgridava tutti, ma era la mamma di tutti

venerdì, aprile 20, 2018

Lo strano caso dei due amici che amavano il latte

Luigi stamattina è giunto a scuola col mal di pancia. Sdraiato, con la testa che gli girava e la compagnia di un amico buffo, aspetta lo zio che lo riporterà a casa. Paura della verifica di matematica? Mal di pancia tattico? Sta di fatto che la sua colazione è tutta in due barrette dietetiche mandate giù in fretta mentre il babbo e la mamma sono in viaggio. Desiderio di passare una mattinata con l’amata playstation senza tanti problemi o rimproveri?

Perché non ha mangiato latte e caffè con una fetta di pane e marmellata?

Il latte. Già, questo strano liquido bianco che ha dato il nome anche a una via in cielo, che tutti conoscono e tutti guardano stupiti.

Il latte lo succhiano i bambini dalla mamma direttamente, senza tante Centrali o latterie, senza contare supermercati e i negozietti. Si apre la bocca e ci si attacca direttamente alla produzione. Caldo, dolce e così facile da mandare giù. Che bella invenzione le mamme e quegli strani globi appesi appena sotto il viso, così bello che non si dimentica più per tutta la vita e oltre.

E succede così per tanto tempo che non vorresti finisse mai…e poi non ci si sta più in braccio e lei te lo dà nella tazza, quello di mucca però, che è una mamma che vive in campagna e mangia tanta erba e ne fa così tanto per il suo vitellino che ne può anche dare ai bambini e ai grandi, a chi lo vuole insomma.

Ci fu un tempo in cui il latte era portato a casa dai contadini, fresco, appena munto o dopo poco ed era caldo o appena tiepido, ma c’era tutto, latte latte, senza aggiunte o trattamenti, dal produttore insomma. Latte intero, oggi si direbbe, quando se ne conoscono tanti da rendere necessario un vocabolario per capirci qualcosa o una mappa per conoscerne la provenienza.

Il latte insomma ci accompagna da quando nasciamo a quando… a un certo punto si preferisce il vino o la birra o qualche bibita gasata o…chissà perché non si vuole più il latte? La merendina, il tè, il caffè, la brioche, il cappuccino, il succo di frutta, la Nutella.

Il latte, si dice, va bene per bambini, poi non si digerisce più, si dice.

Bubi a 70 anni ancora lo beve, la mattina prima di andare a scuola, a sera prima di dormire, la notte, se si sveglia a fare pipì, il pomeriggio quando ha sete. Bubi mangia tutto, tranne il cocomero e il coniglio, perché ne ha fatto indigestione una volta e ora…
Se volete fargli un regalo per il compleanno, in ottobre, regalategli del latte, meglio se al naturale e sempre fresco, cioè pensate a una mucca. Bubi lavora come un matto e non si stanca mai, non cresce mai di peso, se non per pochi giorni quando fa dei pranzi luculliani e sì che lo invitano spesso a casa delle famiglie romagnole fra cui vive; lui extracomunitario di qua dal confine di San Marino. Bubi non ha i mali degli anziani della sua età, non ha male di ossa, non si lamenta dell’artrosi, non ha mai mal di pancia, dorme come un ghiro e, se gli capita di prendere l’influenza, passa una settimana sì e no ed è di nuovo in campo, pimpante come prima.

A un amico quasi medico o meglio quasi genio è venuto il sospetto che il merito sia tutto del latte. Questo scienziato da marciapiede ha tutti i mali possibili: non dorme, non digerisce quasi niente, ha sempre mal di testa e mal di gambe, è ciccione con la schiena curva e i denti ridotti alla fila inferiore tranne uno, tenace, che resiste ancora tutto bucato e dondolante, perennemente stanco e lamentoso. “Mi metto a bere il latte anch’io” si è proposto; ma se lo fa, ahimè, la sua lattasi chissà dov’è finita e giù coliche su coliche.

E' uno scienziato, ancorché non laureato, ed è rimasto stupito quando Mimmo gli ha rivelato una cosa da Nobel.

Mimmo è nato a Napoli, è un immigrato dal Sud, ragioniere e imprenditore. Due figli e una moglie, a differenza di Bubi che moglie e figli non ne ha. Per forza: è prete! Diversi e amici, amanti del latte tutti e due. Che buono il latte! Mimmo, bel sorriso e voce da cantante, tifoso del Napoli, un bel giorno si scoprì un cancro. Era giovane, molto giovane e i medici dissero “Tagliamo”. Pezzi di stomaco malato finirono nella pattumiera ed ebbe una sentenza terribile: “Niente più latte”.
Ai napoletani, si sa, puoi chiedere tutto; ma non che rinuncino alla vita. Mimmo cominciò a mettere poche gocce d latte nell’acqua, da due a tre, poi quattro e cinque, poi via via pian piano ancora un po’ e un po’ di più. Mimmo, a dispetto de medici e di tutta la loro scienza, tornò a bere il latte, tutto il latte, il latte latte…e sta meglio, molto meglio. E’ tornato al lavoro o meglio alla pensione, perché cura l’orto ed i suoi cani, la casa e gli amici e “smette il maiale” come si dice. 
Il cancro? Boh! E’ un pezzo che non ha fatto più parlare di sé.

Le donne vivono di più e così le femmine dei mammiferi. 
Perché producono il latte?
Gli uomini crescono e guariscono col latte e così i maschi dei mammiferi. 
Perché bevono il latte?

Che sia il latte, l’elisir di lunga vita tanto cercato in tutti i tempi?

L’amico scienziato-pazzo ha deciso di continuare le ricerche: comprerà una mucca o, in subordine, cercherà una fidanzata…