domenica, agosto 18, 2019

La Locanda dei Quattro Anarchici

In un posto né troppo vicino né troppo lontano, ai piedi di una collinetta, a due passi da un fiume, che i pignoli direbbero un semplice fosso interpoderale, lungo una strada poco trafficata, nella quale solo i Carabinieri, di notte, facevano la ronda raramente, c’era una locanda, conosciuta dai più come “La locanda dei quattro anarchici”.
Il nome era antico e non si conosceva chi l'avesse chiamata così; ma mai insegna era stata data con tanta cognizione di causa.

L’anarchico n. 1 era un vero anarchico. Andava e veniva a suo piacimento e nessuno era in grado di dire quando lo si potesse trovare. La prova provata della “indeterminaziore di Heisenberg” su scala non solo subatomica. Era il vero n. 1, ma gli altri tre erano convinti nel cuore di essere loro stessi il n. 1, i veri interpreti della vera anarchia.

L’anarchico n. 2 (ovviamente gli anarchici non hanno un nome, perché è un retaggio di organizzazione sociale, perciò assolutamente da escludersi) era l’anarchico che maggiormente aspirava ad essere il n. 1, ma non lo era, per quanto mettesse sempre il suo carretto dietro e a ridosso del carro dell’anarchico n. 1 onde creargli difficoltà nelle manovre di movimentazione e costringerlo sottilmente  ad abdicare dal suo posto preminente. Per quanto gli anarchici non riconoscano preminenza alcuna, né di dei né di uomini, le cose stavano proprio così: è la eterogenesi dei fini, per cui l’uomo propone e Dio dispone, partendo l’uomo per una sua idea fissa onde interpretare il mondo intero e ritrovandosi un esito del tutto contrario ad essa. L’anarchico n.2 possedeva una bestia di compagnia, bella a tal punto da condividere con lei il suo letto, finendo regolarmente a vederselo occupato tutto, un po’ come fanno le donne sposate, ma almeno le donne, beh, insomma, qualche volta ti danno anche soddisfazione e sono capaci di fare figli. Per quanto l’anarchico sia legge a se stesso, bisogna comunque che qualcuno porti avanti l’idea, chi sia carne della sua carne e sangue del suo sangue.

L’anarchico n. 3 era capitato lì per caso. Viveva bene, da vero anarchico autistico, su una collina che domina ancora il mare e l’aeroporto, con un silenzio interrotto solo dall’autostrada a mezza costa, che lui aveva più volte progettato di far saltare come il famoso Ponte Morandi, essendovi colà un piccolo sovrappasso a scavalcavare l’era salita, che conduceva lassù. Non l’aveva mai fatto per rispetto ai bambini che viaggiavano con le loro famiglie verso Sud o verso Nord. Che colpa ne hanno mai loro?! Questo anarchico strano amava i bambini e le formiche, perché entrambe queste categorie di bestioline sono dipendenti in tutto, insomma appartengono e lui invece non sapeva nemmeno cosa volesse dire questa parola. Forse una strana nostalgia di qualcosa, che pure lui intuiva confusamente fosse presente nell’universa realtà.  L’anarchico n. 3 a suo modo era, o meglio si credeva il n. 1, perché non conosceva ordine e tutto ciò che gli capitava fra le mani era suo: accumulava di tutto, dalle spille da balia ai vestiti usati, dai gingilli infantili alla carta dei pacchi. Mah! L’anarchico n.1, quello vero, lo aveva portato con sé perché l’aveva raccolto un giorno e ne aveva avuto pietà, pensando in cuor suo “Cosa può combinare questo lasciato a se stesso?!”

L’anarchico n. 4 era l’oste. Capitato nella locanda un tempo infinitamente lontano, si concepiva tutt’uno con la locanda. Lui era la locanda; gli altri, tutti gli altri ospiti occasionali, erano da dirigere, regolare, inquadrare, condurre. Era un “anarchico organizzato”! Faceva la spesa, gestiva la cassa, curava la cucina e gli spazi comuni, stabiliva se una cosa era giusta o sbagliata secondo la vera anarchia organizzata. Regolava l’altezza delle serrande e la chiusura o l’apertura delle finestre e delle porte, verificava che tutto fosse in ordine, il suo ordine: un vero anarchico è depositario della verità vera e incontrovertibile, la sua. Era la personificazione dell’anarchia rigorosamente anarchica: io sono il principio e la fine di ogni cosa, io sono legge a me stesso. Tutti gli altri 3 anarchici non erano ai suoi occhi veri anarchici; per questo dovevano diventare anarchici. A qualsiasi costo.

L’anarchico n. 1 era, si sussurrava tra i vicini, il vero anarchico. Fin da piccolo entrava e usciva da casa sua a suo piacimento per i suoi piaceri, un tempo infantili, poi via via giovanili e maturi. Aveva rinunciato alle gioie e alle pene del matrimonio, perché le donne non ti permettono di vivere da anarchico: vogliono fare le locandiere a prescindere. Perfino suo babbo, al tempo in cui i padri erano padri, diceva di lui che non sarebbe mai morto sotto le macerie di casa in caso di terremoto… Il suo carro, tirato da molti cavalli, era sempre in movimento e solo Dio (pardon, Dio non esiste) era capace di tenerlo fermo qualche ora, ma non tante, mandandogli ogni sera il sonno ristoratore. Per il resto la sua giornata era lunga 19-20 ore a seminare l’anarchia nei cuori di tanti, un vero “anarchico-missionario”, una specie di prete-anarchico per intenderci (questa precisazione è data per i paesi ancora soggetti all’oscurantismo cattolico). Non aveva mai pace, tranne quando si sedeva a tavola, rarissimamente nella locanda, spesso nelle case dei suoi “fedeli”, perché si mangiava meglio, ma non lo avrebbe mai ammesso,, nemmeno sotto tortura. La sua anarchia era rivolta quasi esclusivamente a gustare cose buone in ogni dove, nelle povere famiglie proletarie e nei ricchi banchetti dei possidenti. L’anarchia è una scelta di vita… Non disdegnava nemmeno il cappuccino e brioche offerto dagli avventori del Bar del Lavoro o l’accogliente tazza di latte con biscotti casarecci di una cuoca generosa, che era madre di un anarchico molto giovane, e che sperava di introdurre il figlio alla sapienza consolidata di un tale Maestro.
Anarchici di lungo corso lo tampinavano quotidianamente, da ogni dove. L’anarchia è un’opzione, il vero modus vivendi et operandi, ma un anarchico deve pur mantenersi per vivere e il modo più semplice di vivere è condividere con altri anarchici i beni di questi ultimi. Una fila ininterrotta di anarchici veniva da ogni dove per parlare con l’anarchico n. 1 e finivano sempre per andarsene con un po’ di soldi suoi. L’anarchia fa girare l’economia…

L’anarchico n. 2 si era fatto la sua posizione. Da semplice lavoratore a direttore di una cooperativa, che dava assistenza a vecchi soli e abbandonati. Un ufficio, le conoscenze giuste, dipendenti a obbedienza cieca e qualche bega con gli Enti Pubblici. Era l’unico anarchico sposato, un errore di gioventù pagato caro, ma ben sopportato con una chilometrica distanza dalla donna del suo cuore, che insegnava a ragazzi svogliati, desiderosi di farsi una posizione all’estero. In fondo, però, anche gli anarchici con figli e nipoti, sono contenti di veder la moglie… non più di una volta all’anno, però, se no l’anarchia, l’ideale, se ne va a farsi friggere…

L’anarchico n. 3 non sapeva cosa fare tutto il giorno e si chiudeva in una stanzetta disordinata e cupa a scrivere, scrivere quello che l’anarchico n. 4 considerava a buon diritto “solo c…”, in termini civili “sciocchezzuole”. Era mal sopportato per il suo modo naif di essere anarchico, un vago miscuglio di anarchia poetica e inconcludente, che l’aveva conquistato fin dai tempi della scuola, in reazione all’ordine costituito, che voleva togliergli il suo amore per la libertà. “Eri così bello da piccolo; com’è che ti sei ridotto così?” gli aveva detto un giorno sua sorella. L’amore alla libertà porta alla libertà o all’immagine della libertà. Questo l’anarchico n. 3 aveva dovuto constatare con grande dolore; per questo seguiva, cum grano salis, l’anarchico n. 1. Incompreso come tutti i poeti, era un bel figlio di p… “con tutto il rispetto per tua mamma, che non lo è” gli aveva detto un’amica, che aveva vinto l’anarchia e gli voleva molto bene, nella speranza che anche lui ci riuscisse. Era morta con questo desiderio irrealizzato, ma con la segreta speranza che un giorno questo sarebbe avvenuto, misteriosamente.

L’oste era un anarchico tenace, deciso, organizzato, come abbiamo detto; ma aveva un cuore grande e, sotto la sua anarchia, covava una generosità entusiasmante, una capacità di lavoro unica, un’accoglienza burbera, ma aperta. Era un minimalista, una sorta di monaco essenziale, il contrario dell’anarchico n. 3. Usava un carro d’antan, non all’ultima moda. Parco, acquistava beni solo al minor prezzo possibile, ma era capace di accompagnare gli amici in altre città senza chiedere nulla. Rispettoso come un anarchico devoto, desiderava che tutti fossero come lui, anarchici di razza pura.
L’anarchico n. 3, che era un “anarco-meticcio”, gli faceva spesso perdere la trebisonda, ma egli riusciva a controllarsi e si limitava a ignorarlo, sperando in cuor suo di riuscire nell’intento di ottenere da lui quello che era stato il desiderio segreto dell’amica di cui sopra. L’anarchico n. 3, quando ci si metteva, magari senza nemmeno rendersi conto, era davvero insopportabile ed aveva rischiato più volte di prendere le botte perfino dall’anarchico n. 2, che spesso, con grande degnazione, si limitava a prenderlo in giro, pur essendo venuto occasionalmente a conoscenza di certi segreti della sua vita.

Solo l’anarchico n. 1 riusciva, a fatica, a tenerlo un po’ a bada, nella considerazione, errata, che fosse un genio: era semplicemente un irresponsabile.

Ma, come succede nei migliori romanzi, tipo i Tre Moschettieri, nella locanda giunse un bel giorno l’anarchico n. 5, un intellettuale di tutto rispetto.
L’anarchico capo, se mai possa aversi questa definizione, lo aveva mandato nella locanda per dare una mano all’anarchico n. 1.

L’anarchico n. 5 è un anarchico DOC. Rigorosamente ligio all’anarchia anarchica, si sveglia presto, legge, scrive, studia e fa strani riti, che lo innalzano fino all’Anarchia, l’ideale sommo. Viaggia anarchicamente tutto il giorno, senza che sia dato ad alcuno di conoscere luoghi e tempi di questa attività. Silenziosamente parte, silenziosamente torna. Educa e istruisce gli allievi che giungono a lui, poi si chiude in camera e fino alla sveglia antelucana nessuno vi ha accesso.
L’anarchico n. 1 gli vuole bene, lo protegge e lo stima. Lo usa anche, per la verità, chiedendogli di istruire le persone che giungono alla locanda mentre lui va, va, va…in vacanza, per mari, per monti o territori sconosciuti, laddove la sua anarchia lo conduce.
L’anarchico n. 1 è molto contento dell’anarchico n. 5, che è ben accetto da tutti, perché non dà fastidio e preoccupazioni, tranne forse per la sparizione veloce di qualsiasi genere di peperoncino, in qualsiasi genere di confezione o di preparazione; ma questo è decisamente un “peccatuccio” di nessun conto, ben sopportato da tutti
Stranamente, l’anarchico n. 5 ha portato una ventata di pace nella Locanda…

Così era, è e sarà: l’anarchia, per sua natura non ha termine o confine e la Locanda sotto la collina, lungo il fiume che si atteggia a fosso - tranne quando piove forte e fa come il Po o l’Adige o l’Arno nel fatidico novembre del ’66 - è sempre lì, paziente, immobile.

E’ la Locanda dei 4 anarchici, prendete nota.
Venite a vederla, se avete coraggio e passione per la vita!