domenica, maggio 26, 2019

L'Angelina ad Braganòun

Sia benedetta la zia Maria, tenera e forte, come le donne di fede!

L’Angelina correva felice nei campi. Come si può essere a cinque anni, quando tutto stupisce, tutto è nuovo e famigliare? L’Angelina era una contadinella romagnola. La sua casa era in collina, una piccola collina, vicino alla chiesa, che sovrastava il borgo di Corpolò.

“Corpolò, una scarpa sì e una scarpa no” dicevano i riminesi, perché la povertà lì era un obbligo sociale, una triste avita consuetudine. Da 300 anni i Braganòun erano su quel pezzo di terra, gente laboriosa, tenace, solidale, cristiana. Chi non era cristiano a Corpolò, l’ultimo pezzettino del Comune verso le sorgenti del Marecchia?!

Povertà e bambini. Cinque fratelli prima di lei e due sorelle dopo. Pietro, il più grande era il suo “innamorato”, era tutto per lei. I campi, il sole, i giochi, le sorelle, non le mancava nulla, anche se era nata due anni appena dopo la Guerra, l’inutile strage, mentre la spagnola spopolava ciò che era rimasto da quella sciagura.

Le colline riminesi sono di una dolcezza particolare: i monti finiscono nel mare piano piano abbassandosi lentamente e alle spalle l’azzurra vision di San Marino, che veglia su tutti, come un fratello maggiore, come Pitròin, Pietro, appena 18enne.
La polmonite mandava all’altro mondo tanta gente e portò via anche la mamma dell’Angelina, la Caterina di tanta carità. Senza mamma così di schianto e dopo un po’ la mancanza del babbo, un incidente, una brutta storia. Orfana tra gli orfani. Otto bambini senza più nessuno, come potranno vivere?
Il padrone fu buono e Pietro si sposò e tenne il campo e alcuni fratelli. Gli altri alla carità dei parenti e delle suore. Carità vera, piena e senza paura.

L’Angelina era intelligente e molto bella. Le suore volevano farne una di loro, una maestra.  Lei non volle: aveva un’altra strada. Le tante amiche, le tante bambine sole di quei tempi, le mani e il lavoro, i libri e la scrittura, gli affari delle donne, la cucina, il cucito. Don Lazzaro e la Gigia, gli zii, la vollero con sé nel vecchio castello a guardia delle terre dei Signori di Rimini contro il Duca di Urbino. Tempi passati, tempi presenti. E la Guerra che torna, come se non bastasse o non fosse mai finita, la fame, il pericolo, il passaggio dei soldati e la preghiera.

C’è tempo in guerra per l’amore? Una domanda che suo figlio si sarebbe posto a lungo e molti si fanno: mentre tutto è distrutto e l’odio la fa da padrone perfino fra gente sconosciuta e forestiera, c’è posto per sperare, guardare gli occhi di un ragazzo e sentire battere il cuore? Chi è quel ragazzo, alto e colto?
Dall’altra parte della piazza, lungo l’asse maggiore, c’era la casa del Dottore e di qua, vicina e lontana quel tanto che basta, la vecchia canonica col prete, che ama la gente. Il figlio più piccolo, studente all’Università – chissà quante donne conosce e quante ne ha viste e scrutate – l’ha vista e gli piace. Un altro mistero: chissà cosa fa incontrare un uomo e una donna, che cosa si muove, che cosa s’intreccia e perché? Che cosa permette l’incontro, che cosa lo fa maturare…
“L’Angelina va a star bene - dicevano le contadine lì attorno -  si sposa col figlio piccolo del dottore! Non aveva niente e guarda dove va!”
La nonna Francesca, il nonno Giuseppe, lo zio prete e la Gigia, cognato e cognata e tre ragazzine, la sposa in bianco e il giovane timido davanti al fotografo nell’anno del Referendum e delle Elezioni.
Il viaggio di nozze, Venezia e al mare. Partirono da soli; tornarono in compagnia. Usava così: i bambini arrivavano quando volevano, impertinenti e impiccioni, obbedendo solo al buon Dio e non al Family Planning. Altri tempi…

Il tempo necessario e qualche giorno po’ di più – la luna è la luna! - A Maggio l’erede.
I maschi sono sempre belli e molto desiderati, perché portano il nome e danno continuità alla Casa. Il neonato era maschio con tante promesse. Gli fu imposto il nome della nonna e del nonno insieme e ne portò l’onore imperiale: di Francesco Giuseppe ce ne sono davvero pochi al mondo!
Vezzeggiato, coccolato come si usava, crebbe fino all’uso della parola prima che un altro maschio ne limitasse il potere e la gloria, l’affetto e le attenzioni dei due giovani sposi. “Non vi bastavo io?” chiese un giorno alla mamma, svelando un terzo mistero di vita: “Quid animo satis?”, ma era una scusa, un atto di gelosia innocente nei bambini, ma su cui vigilare con tenera cura.
Il fratellino era proprio bello e in fondo un compagno di giochi ci vuole, se no, che noia! Le femmine? Dio le benedica, perché sono belle, anzi bellissime e fino a quando il fratellino non si decide a piangere, dormire e mangiare sempre, fanno compagnia. “Tento!” lo invocava, da dietro una grata nel vicoletto della casa, una bambina, che vecchio, non riusciva ancora a dimenticare. Stefania era un incanto!  Così bella non aveva mai visto niente – la mamma si sa è la mamma ed è insostituibile per sempre – la Stefania era proprio uno schianto!

“Lontano dagli occhi lontano da cuore” recita una canzone e bastarono pochi chilometri e un trasloco perché il suo posto fosse preso dall’Elisabetta. L’Elisabetta fu l’amica del cuore di tutta l’infanzia e la prima adolescenza, fino a quando Luisa Paola entrò di prepotenza e ignara nel cuore del “principino”. Elisabetta portava le trecce e un fiocco su ogni treccia: basta che compaia una ragazza con le trecce e Francesco Giuseppe perde la trebisonda ancora oggi; ma non fu mai innamorato della sua amichetta.
Venne il tempo della scuola, quando tutti i bambini, liberi e curiosi, sono costretti a vestirsi di nero e sedersi a un banco fianco a fianco con altri a imparare quello che i grandi vogliono che s’impari, perfino che Garibaldi era un eroe… Per il nostro amichetto il momento venne in anticipo perché il babbo si accorse un bel giorno che leggeva le targhe delle macchine che passavano sulla strada verso Roma e Cesena, senza che nessuno gli avesse mai detto cos’erano quegli strani segni dietro le auto.
“E’ un bambino intelligente” e finì per compiere il compleanno canonico, quello dei sei anni, previsti dagli ordinamenti reali e repubblicani, quando mancavano pochi giorni alla fine dell’anno scolastico canonico…
Tant’è! Uno “squizzo” minuscolo era il più bravo della scuola, quando ancora i maestri si disperavano per insegnare un po’ d’italiano ai figli dei contadini, veri maestri nel Dialetto Romagnolo.

Amici, preghiere, confessioni, preti, campi, “Monticini”, follìe, corse e studio, giochi, musica e iniziali amoretti furono tutta la sua vita per tanti anni, neve, sole, rondini e razzi artigianali a polvere pirica artigianale, eventi mondiali e TV, la prima TV, quella dei Ragazzi e di Carosello, riempirono le sue giornate per un decennio o giù di lì.
Intanto era nata la Principessa delle Nevi, la femmina più che desiderata, la bellezza meridionale fatta carne, nell’anno di grazia 1956. Maria Rosaria, la prima, in onore della Madonna, come si conveniva allora e si conviene fra le donne italiane era bellissima nel lettone con la mamma a fianco, quando il primo giorno di Febbraio, con una neve che Dio la mandava, il babbo venne a prendere a scuola i due fratelli per mostrarla loro. Poi venne Maria Pia ad avere, com’è giusto, una sorella maggiore cui riferirsi nei momenti di crisi e di bisogno. Del “covanido”, Pier Luigi Angelo, ne parleremo quando è ora, a compiere e sigillare l’impresa dell’Angelina.
Già, perché dell’Angelina stiamo raccontando. D’altra parte, senza mamma niente figli e, conseguentemente, niente nipoti e niente pronipoti e così via.
Dio solo sa che importanza hanno le mamme nella Storia, se Lui stesso ha voluto averne una!

L’Angelina voleva bene a suo marito e pregava tanto per lui perché, insomma, un po’ birichino era, come tutti gli uomini in genere, ma anche nello specifico perché era buona norma, nella famiglia del Dottore, a tempo opportuno, enumerare e vantare l’assoluta e incontestabile mascolinità degli uomini della Famiglia, in tutti i tempi e le condizioni sociali, senza giungere agli eccessi di dover difendere l’onore in duello, perché “noblesse oblige”…. Tutte le donne romagnole hanno sofferto nel tempo questa inevitabilità d’onore.

E venne il giorno del dolore. Oggi la chiamano depressione post-partum o bipolare è poco importante, è solo questione accademica; per chi la prova è una cosa molto seria: ci vanno di mezzo anche i bambini. La cucina era il regno delle donne; i maschi ci passavano solo di sfuggita o per mangiare. I bambini non sono così fini; così, vedendo la mamma triste e la zia Maria che era venuta per dare una mano, il nostro eroe decise di consolare la mamma, la strinse alle gambe e alla sottana con un abbraccio; ma lei lo scacciò in malo modo. Stupito e disarmato la zia lo accompagnò in camera. “La mamma non ci vuole più?”.“La mamma sta male – rispose la zia dolcemente - e l’ultima nata passò due anni a Corpolò con lei, che aggiunse un figlio ai tanti suoi.

Tante gioie, tanti dolori, il trasloco e lo spettro della povertà. Dio prova in ogni modo chi ama e non li lascia soli. Preceduti dal grande per motivi di studio, allontanati opportunamente dalla casa paterna, tutta la banda del Dottore sbarcò nella città sul mare, lungo l’Ausa in affitto, in attesa, sperando, di tempi migliori. “Dio chiude una porta e apre un portone” diceva l’Angelina e, icastica, “Bòta in tera e spera in Di”. Tirandosi su le maniche e cadendo come Gesù verso il Calvario, ebbe sempre da Lui dei Cirenei: vicini di casa, sconosciuti, parenti e amici… dotti professori e Colonnelli in pensione perfino Ceccaroni, il Sindaco potente. Dio non abbandona mai e si serve di tutti: Medici Provinciali e Presidente dell’Ordine, massoni e religiosi, suore, orfanelle come lei, vecchie bagnine, preti e nobili di cuore e di lignaggio, amici dei figli e poliziotti.

Una notte di tutte queste notti, girava per strada stranita ed era ormai tardi. Uscirono in auto il suo Mario e il ribelle a cercarla sul mare. La convinsero a salire per portarla a casa, ma a uno Stop fuggì dalla porta e sparì alla vista. Il Dottore gridò: “Angelina! Angelina!” Piangeva dai suoi occhi senza luce e il figlio capì: “Ma come la ama!” e fu certo.
Dicono che il matrimonio sia un sostenersi verso il Destino.
“Pensa a te stesso e ai bambini! Rinchiudila e rifatti una vita” I saggi e i sazi dicevano così.
“Io l’ho sposata e lei è la madre dei miei figli”
Si può, da nati nella bambagia e nel decoro, accettare fatiche e umiliazioni?
“Da ricco che era…” dice S. Paolo

Le preghiere dell’Angelina erano state accolte, le sue suppliche alla Madonna, la sua fiducia in Padre Pio, la sua debolissima tenacia coi figli e le “torture” alle bambine.
Non ci arrivava più, aveva speso tutto, da donna intelligente con le spalle fragili, … aveva dimenticato il più piccolo per strada una volta e l’avevano rintracciata a Carpi un’altra, col grande che andava sperduto senz’ombra d’amor e ne aveva ereditate la fragilità e l’intelligenza, dicevano, ma non ne era convinto.

Abbandonata da chi la doveva curare, ma non da Dio e dai Braganòun, chiuse gli occhi e fermò il cuore una mattina in fondo all’anno. Mentre tutti si preparavano a festeggiare il nuovo di lì a poco, la Madonna le chiese aiuto, che le desse una mano a preparare la Sua festa di Madre e in Lei di tutte le Madri.

L’Angelina ad Braganòun andò a servizio della Signora, che aveva tanto amato e cui, non sapendo più che pesci prendere, aveva affidato il figlio ribelle in attesa che venisse anche lui a darle una mano in quella casa che non ha mai rifiutato nessuno.

“Forse questi 15 giorni sono serviti, a lei per capire che le volevamo bene e a noi per capire che ci voleva bene” aveva detto la Regina delle Nevi, la morettina quasi marocchina, la figlia di cui era ospite ogni settimana alla fine della breve malattia mortale.

Contro ogni logica naturale, la prima che le andò dietro giovanissima fu l’ultima delle nipoti, quasi una non-nipote, la grazia di Dio che, dapprima non voluta, l’aspettava sulle scale ogni volta che veniva a casa sua dalla Rosi, le prendeva il bastone, le baciava la mano e l’accompagnava dentro.



“Siano liberate le anime prigioniere” (Claudel)


venerdì, maggio 10, 2019

La maestrina dal cappotto rosso


Che occhi belli! Che mani operose!
Dina dal cuore grande era rimasta vedova presto, troppo presto.
Ogni donna innamorata sogna di sposarsi, di avere tanti figli e di giungere a vedere i nipoti e a goderseli. Ogni donna vuole stare col marito, ogni donna che voglia bene.
Ogni donna odia la guerra, che porta via gli uomini e non li fa più tornare, per terra per cielo e per mare.
Il mare che serve ad unire persone lontane, così grande da ricordare l’infinito, in guerra divide, distrugge, separa. Il mare, poveretto, non si rende conto di questo. Se fosse per lui, non farebbe altro che portare vita, che rendere contenti i bambini sulla spiaggia con le conchiglie e i cavallucci marini.
Gli uomini partono in guerra, lasciando tutto, non per colpa loro né per volontà propria.
Di là del mare c’è l’Albania e oltre la Grecia, da conquistare.
Per cosa? Orgoglio? Potenza, Prestigio? Ricchezze?
Eugenio partì un bel giorno e non è più tornato. Non c’è solo il piombo che uccide o gli agguati del nemico. Il tifo, le malattie, dove non c’è vita, nei disagi, nelle fatiche, la fanno da padroni.
Che guaio la guerra, che cosa senza senso!
Di qua, su questa sponda, una bambina piccolissima aspetta con la sua mamma.
Orfana di guerra.
Il babbo che non ti ha mai visto, non ti vedrà mai più. Le sue braccia forti non ti stringeranno più né saprà mai che nome avranno i tuoi nipoti.
Una bambina. Carla non ha mai visto gli occhi del suo babbo, forse a specchio negli occhi della Dina, quegli occhi così aperti e così belli, talvolta severi, ma sempre cordiali, sinceri.
La Dina, è stata una gioia conoscerla, per tutti quelli che l’hanno incontrata.

I Braganoun, i Tonni, sono una grande antica famiglia, molto vasta e molto unita. Poveri e ricchi in dignità e solidali. Nessuno è mai stato abbandonato fra loro. La fede cristiana l’hanno presa sul serio, un dono che vale per loro e per tutti, nobili e contadini.
Eugenio Tonni non tornerà più.
Le sue due bambine lo vedranno dove tutto è chiaro e spiegato. Carla e la sua sorellina, nata e morta come succedeva mica tanti anni fa.
Si muore anche da piccoli.
Si vive da piccoli e si diventa grandi, col tempo e con la paglia, come le nespole.

Ragazzine, ragazze, maestrine, maestre e direttrici. Si va a scuola, si lavora, s’incontra un bel ragazzo e ci si fa spose. Mamme a propria volta. E sarte, perché la Dina era una sarta bravissima e faceva scuola a tante ragazze, figurarsi alla figlia!
“Galeotto fu l’ago e chi lo usò”. Quel ragazzotto capitato in casa per accompagnare una lavorante della Dina, si portò via in poco tempo, affascinato, la figlia-sartina.

Non c’è mica bisogno di essere laureati per insegnare. La propria arte e la passione bastano e avanzano, anche senza diplomi, mentre si educa alla vita e si trasmettono amore e onestà.

Tre figli e uno in più. Due maschi e due femmine. Belli e operosi. Arrivano i nipoti, fra tanti amici, che vivono di fede e di accoglienza, di sacrifici e di lavoro, costruttori di civiltà.
Il Gruppo famiglie e la Casa di Bagnolo e tanti nuovi amici e una nuova fraternità.
Una scuola, che piano piano cresce a diventare grande e conosciuta, stimata e osteggiata al tempo stesso, fra altri amici per una grandezza sempre più grande.

Carla, giovanissima, insegna alle Maestre Pie, poi nello Stato, poi, baby-pensionata grazie all’amante sindacalista (un amante legale, per carità, con tutti i crismi della Chiesa, quel bel ragazzo incontrato una volta) si dedica alla famiglia; ma “Charitas Domini urget nos” e Carla si getta nell’agone di una scuola nuova, maestra, direttrice, maestra–direttrice e forse anche bidella, sicuramente consolatrice e custode di queste piccole pesti chiamate a diventare grandi a loro volta. In tempo di pace, perché si combatte sempre, essendo la vita dell’uomo un servizio militare, per tutti maschi e femmine. “Militia est vita hominis”.
E finalmente la vera pensione, con le amate sigarette, il marito coetaneo, i figli, i nipoti…un po’ di pace…
Si usa dire che l’assassino torna sempre sul luogo del delitto e la vecchia arte della mamma: questi bambini che crescono non sanno cucire e Carla torna “sartora”. Si può mai stare lontani dalla scuola, dal primo amore? Si può stare davvero in pantofole?

Eugenio riposa a Bari, le sue ossa e il suo nome, nel Sacrario dei Caduti d’Oltremare, monito di pace e di pietà per tutti; Dina dagli occhi belli li ha chiusi ormai da tempo e Carla si appresta a raggiungerli un giorno, quando Dio vorrà, a ritrovarli, a conoscere il babbo e a riconoscere la mamma e riabbracciarli con la sorellina.

80 è un numero piccolo, davvero minuscolo nel conto del tempo. 80 è appena ieri che la vita è cominciata, nella gratitudine e nel dolore, nella certezza di un destino buono, provato e riprovato negli anni, nei volti, nelle cose, nel cuore.

Ad multos annos, Carla!
Lunga vita alla bambina che non si è arresa mai!