giovedì, novembre 24, 2022

Omelia di Don Claudio Parma per le esequie di Antonio Trevisani

Carissimi tutti, condoglianze.

In questi giorni vedendo Alba, anche se per brevi momenti, la si è sentita dire: ”Ma pensa te! Dovevo partire prima io e invece è partito prima lui.” Che mistero la vita cara Alba, non la comandiamo noi!

Il tuo amatissimo Antonio non perde la virtù di lavorare, è da due giorni ha cominciato un nuovo lavoro, del resto è un uomo che non sta mai con le mani nelle mani. Il nuovo lavoro è di amare la sua bella famiglia, te Alba e i vostri figli, Cesare, Grazia e Yuska, tanti nipoti e pronipoti di amarvi in compagnia di Gesù e della Madonna; questa volta per lavorare si è messo in società con due pezzi grossi Mamma e Figlio e tanti, tantissimi santi di cui conosciamo anche i nomi.

Oggi c'è una progressione, un passaggio decisivo, lui vi ama con una intensità affettiva mai vista prima, perché quando si vede il compimento della vita, allora tutto va dove deve andare e il sorriso di Antonio si compie e rimane eterno.

Che bella vita la sua! Spesa con la coscienza che è dono ricevuto, per essere ridonato, secondo tutte le pieghe e forme che il tempo ci ha fatto vedere.

Ma alcune di queste forme non possono non essere dette oggi, perché sono il modo con cui Antonio ci ha educati tutti.

Ricordo i primi tempi quando l'ho conosciuto, ero ancora seminarista e frequentavo questa parrocchia e lui nella, vostra casa di allora, preparava una tavernetta per la sua famiglia, scavando il terreno fino alle rifiniture per accogliere gli amici con i quali assieme ad altri cominciava l'esperienza della comunità di CL. Poi, come Cesare ha ricordato in brevi pensieri per Antonio che ho avuto la grazia di leggere, prima di dedicarsi corpo e anima alle scuole Karis ha lavorato per la costruzione di questa chiesa con don Domenico, il restauro della casa di Bagnolo per il Meeting, per la Terra Santa, e per tantissime altre realtà, non ultima permette l'utilizzo alla Caritas riminese del negozio che gestiva in centro.

Ha sempre amato il suo lavoro dandosi con sacrificio, amava qualunque lavoro, aveva le mani d'oro, ma amava farlo bene amava un lavoro ben fatto, perché un lavoro ben fatto e per l'utilità degli uomini e per la gloria di Dio.

Generoso in tutto, quando vedeva altri lavorare con passione li stimava e aggiungeva al loro lavoro il suo e così nascevano capolavori di utilità e di unità come la straordinario lavoro fatto alle scuole Karis, che ha condiviso con te carissima Alba.

Dove passavate voi due a scuola si capiva subito; bastava un solo sguardo per vedere come la mano dell'uno aiutava l'altro, nel generare bellezza in ogni angolo della scuola.

Un esempio fra tutti, la cura delle piante dei fiori che Alba, finché ha potuto, ha custodito con grande amore, i vasi più pesanti Antonio li aveva messi su telaio con rotelle così da spostarli con un dito.

Quando a scuola qualcosa si rompeva, tutti sapevano che c'era un uomo capace di aggiustare tutto e i ragazzi dai piccoli ai grandi gli volevano bene, perché anche quando li correggeva li guardava con lo sguardo di chi li educava.

Nella sua vita il lavoro-mestiere è stato fare l'elettricista, così pian piano, un passo alla volta ha cambiato tutte le lampade della scuola con le lampade a led e quando mi vedeva mi diceva: “Senti vieni qui che ti faccio vedere una cosa perché te la capisci” e d’incanto mi accendeva corridoi e aule della scuola, dicendomi: “Queste lampade le ho messe tutte io e se tu sapessi quanto risparmio economico sono per la scuola”.

Non per caso Antonio ha sposato una donna che si chiama Alba che è sempre stata per lui la luce, l'inizio del giorno. A lei, come Cesare ha scritto in questi giorni, Antonio si affidava completamente. Dal primo minuto del giorno sì era proprio la sua Alba la sua luce: quando le chiedeva quali vestiti indossare fino e cito ancora Cesare, all'ultimo giro di scala 40 la sera prima di andare a dormire, magari lamentandosi perché le quattro matte andavano sempre a lei. Sempre insieme, sempre a chiedersi in ogni minuto quale fosse il bisogno dell'altro per esaudirlo!

Nei giorni in cui è stato ricoverato in ospedale sono andato a trovarlo con Bubi, era un giorno difficile, di fronte al quale tutti attorno a quel letto si stava davanti a lui impotenti, capendo che c'era una solitudine che le nostre attenzioni non potevano togliere, lì si capiva che c'era solo la mano di Cristo che teneva la sua mano e che gli diceva: “ Non devi avere paura, lavora ancora una volta con me, ti chiedo un lavoro più grande di tutta la tua vita, un lavoro che così non avevi mai fatto prima. Aiutami con la tua croce e malattia a salvare il mondo e tutte le persone che ti ho dato da amare!”

Il mondo questo lavoro di offerta e di croce e di malattia lo conosce, ma lo scarta; lui lo ha accettato ha detto di sì al Signore che gli ha chiesto: “Porta con me la croce per salvare il mondo, che si lacera nelle guerre, nelle divisioni, nelle discordie piccole e grandi degli uomini”.

Come suo solito lavorando anche nei suoi ultimi giorni in ospedale. Ha sorpreso infermieri e medici per la sua assoluta attenzione a tutti e a tutto, chiedendo proprio solo l'indispensabile per non essere di peso ad alcuno.

Sono certo che Antonio ora sia davanti al suo Signore Gesù e lo stia ringraziando dicendogli: “Grazie Signore per tutto quello che mi hai dato nella vita, tutto è servito per conoscerti, adesso come in un film tutta la vita scorrere davanti, da quando ero bambino fino ad oggi, vedo che in ogni circostanza bella o brutta eri tu che mi cercavi; anche quando io non capivo, così sempre tu che mi cercavi e capisco ora che tutto è accaduto per il mio bene, anche il mio male! Ora che si compie tutto, capisco che questo corpo che mi hai dato ha fatto il suo dovere ha servito l'anima e adesso può riposare in pace”.

Caro Antonio per starti vicino ci toccherà fare su questa terra, per il tempo che ci resta, il lavoro che fai tu da due giorni, guardare il volto di Cristo; tu direttamente e noi ancora in cammino per ritrovare il nostro volto.

Siamo certi come lo sei sempre stato tu che ti ri-incontreremo, ti abbracceremo riascolteremo la tua voce, perché Dio non ci ha fatto per morire ma per vivere!



domenica, novembre 20, 2022

Antonio che amava la scuola

Si può avere tanti anni e andare a scuola con gusto?

Antonio amava la scuola fin da piccolo. Ai suoi tempi andare a scuola era anche pericoloso. Sì, perché c’era la guerra e sapevi come l’avresti raggiunta, ma non sapevi se saresti tornato a casa sano e salvo. La scuola e il lavoro: la mattina sui banchi, il pomeriggio a dare una mano a suo babbo o correre in bicicletta per portare i telegrammi a Gatteo, quello a mare e così guadagnare qualche soldo per integrare i soldi che il babbo portava a casa. Antonio aveva sempre avuto voglia di lavorare e già nonno continuava a farlo.

Sì, come tutti era andato in pensione quando era ora, ma, come si dice di Dio, Antonio era un eterno lavoratore. Non gli ha mai fatto schifo… e come lo sapeva fare! Bocia da elettricista sapeva fare tutto, ma proprio tutto. Da quando aveva salvato la sua mamma durante un bombardamento - perché, intelligente com’era, aveva imparato a riconoscere dal fischio il tipo di bomba e dove sarebbe caduta – lavorava con testa, imparava con passione e insegnava, sapeva dire a tutti come si fa e come non si fa.

Era diventato elettricista e si era messo in proprio, si era sposato con una bella ragazza - anche lui era bello - e aveva messo su famiglia, una bella famiglia. Poi si era messo nel commercio e aveva conquistato la fiducia del grande padrone dell’OMNIA: maneggiava soldi e persone con la maestria di un mago, sempre rispettoso, sempre attento e leale, sempre onesto anche quando fiumi di lire gli passavano per le mani ed era diventato un compratore di classe, un venditore di vaglia ed un babbo sempre più attento e premuroso, sempre più innamorato di quella ragazza con cui condivideva la vita e tutto il resto.

I bambini crescono, i lavoratori vanno in pensione; ma quella passione di vivere non gli è mai venuta meno.

La scuola, quella scuola, la scuola sul mare abbandonata e rifugio di topi, piccioni e poveri barboni, emigranti senza casa, senza arte né parte…qualsiasi rudere va bene…e via a metterci le mani e il cuore…pulire, ricostruire, pitturare, scartare, fare la guardia, rimettere in ordine, gettare via e metterci del nuovo.

Che lavoro! Che impegno con tanti amici, imprese, idraulici, muratori, architetti, ingegneri e semplici contabili. Lui era sempre lì, punto di riferimento perché Antonio amava la scuola, quella scuola, la scuola che aveva visto 100 anni prima tanti bambini in colonia al mare. Bambini malati, bambini forestieri, bambini che un medico saggio di Como voleva far vivere senza malanni… e ancora qualcuno se ne vede, ritornato da grande negli alti corridoi, nelle scale adatte ai piccoli passi, a ritrovare quel clima, quelle mura, vecchie e giovani, che ancora risuonano, allora e oggi, di un bel vociare musicale e passi che corrono nel cortile di fuori e nei corridoi, allora come ora.

Sì, Antonio c’era, l’ha vista rinascere coi suoi occhi, l’ha fatta crescere con le sue mani, con tanti amici, la Lella, don Giancarlo e tanti professori, che da giovani crescevano con lui, facendosi compagnia, crescendo e scherzando, mano nella mano, costruttori mai stanchi, educatori appassionati. Antonio educava con se stesso: magari non ricordava più quando era nato Cicerone o Cesare aveva sconfitto i Galli – un povero elettricista sa fare gli impianti e cambiare le lampadine e dar da dire alla Jone, la supercuoca che non lascia mai i fornelli con le sue colleghe, scherzare con la segretaria sexy dal telaio ancora perfetto o apprezzare la prof di matematica sempre in ordine, farsi aiutare dai vecchi fratelli falegnami ancora in gamba o dirigere i lavori delle imprese o tenere in ordine il bruciatore del riscaldamento, tagliare l’erba del prato e godere delle margherite che, a suo tempo, lo impreziosivano come un vestito pieno di perle, riprendere gentilmente i ragazzi che facevano i dispetti ed essere burbero e grazioso al tempo stesso – ma educava con i suoi gesti, la sua premura, l’attenta vigilanza e l’amore verso sua moglie che curava il giardino come se fosse l’Eden. Bastava guardarli, guardare come si guardavano, il rispetto e la stima fra loro per credere che sì, amarsi è possibile ed anche i bambini di prima, quelli delle Medie, capivano che erano capitati in una scuola-scuola, bella, affacciata sul mare, vecchia e tenera come i vecchi marinai che l’avevano frequentata come bagnini di quei bambini gracili ora molti, chissà, non più vivi.

La scuola in riva al mare. La scuola è ancora lì, a pochi passi dalla spiaggia dove i nuovi ragazzini giocano a frisbee e corrono o stanno in silenzio a guardare verso il mare e l’oltre che c’è di là e scrivono o giocano – Bubi fa religione così, con la “guerra spagnola”, davanti all’acqua e al Mistero che vive in ogni cosa – Antonio invece è partito.

Ora vede dall’alto la sua scuola, quella che ha tanto amato, anche al tempo del Covid, quando non è più potuto venire (ma veniva di nascosto) a vedere il suo piccolo orto e i fiori dell’Alba, sua moglie e riguarda tutto, la festa dei suoi 80 anni in Aula Magna con i ragazzi a fargli corona, grandi e piccoli, il bar dove prendeva il caffè e i piccioni che aveva chiuso nelle reti, quel grande pennone che non porta più bandiere e il parcheggio, il suo laboratorio sempre ordinato con le mappe di tutti gli impianti e i pozzetti, gli scalini da riparare, le porte e i salsicciotti per proteggere dalla fredda buriana quei bambini e le bambine, bellissime nella loro infanzia, che pian piano diventavano signorine e quelle che tornavano a trovare i professori da sposate e regalavano un sorriso grato anche a lui, quei corridoi lunghi ed i soffitti alti, l’ascensore, gli orologi, la piscina e le ville da restaurare – ora che non c’è lui chi lo farà?! Chi riparerà i bagni e le porte dei gabinetti, la carta bagnata sui muri, chi avrà cura dei costumi e delle attrezzature del Presepe Vivente, che ogni anno faceva stupire di meraviglia questa piccola grande città, che va fra l’Arco d’Augusto e il Ponte di Tiberio?

Antonio, riposa! Hai compiuto il tuo lavoro. Bene, come hai sempre fatto… tanto vedrai che lassù non ti lasceranno con le mani in mano. Ti hanno atteso da sempre, da quando hai aperto gli occhi in quel pezzettino di Romagna fatto apposta per te - da quella donna, tua mamma, cui eri stato mandato perché si salvasse un giorno dalla violenza degli uomini arroganti che volevano togliersela dai piedi come succede ancora oggi ad altre donne offese dalla guerra, disprezzate nell’essere madri - da quando hai incontrato quella ragazza così generosa e gentile, che ti ha dato figli e nipoti e una casa bella, ordinata e calda per te e per gli amici. Ti hanno atteso in tanti. Tu ora attendi noi. Verremo a darti una mano, come tu l’hai data a noi.

La fatica, la malattia, quel cuore matto che voleva fermarsi e fermarti ti hanno vinto, ma non l’hanno fatto per sempre. Il per sempre, il tuo e il nostro per sempre è un’altra cosa. Chissà com’è la scuola lassù?! La vera Comasca è tua per sempre e nessuno te la potrà togliere, nessuno potrà mandarti via di lì.

Vieni, servo buono e fedele! La Lella e don Giancarlo sono lì, sono qui, con la Chiarabini, la Colette e tutti quelli che ci hanno amato e ci amano ora e per sempre.

Per sempre!



lunedì, maggio 02, 2022

Il giardino dell'Elvira

 Il giardino dell’Elvira è il più bello di tutto il villaggio, ai piedi della collina dove scavavano l’argilla per fare i mattoni. La vita scorre e tutto cambia, nessuno ritrova più il posto che aveva e anche gli uccellini, quando escono dal nido, vanno per la loro strada.

Il giardino dell’Elvira no: il prato pettinato, i fiori al loro posto; le rose purpuree sbocciano puntuali vicino al recinto e manca poco ormai al mese della Madonna, quando se ne vedono dappertutto, di tutti i colori, per onorare la ragazza che ha dato la vita al mondo intero col suo sì.

I fiori di ciliegio quest’anno hanno coperto gli alberi e la magnolia in mezzo al prato si è riempita di fiori profumati. Ci si perde a descriverli tutti, tutti al loro posto, curati con premura. Le peonie, i pasqualotti, margherite a non finire.

L’Elvira, come tutte, era stata una ragazza, una bambina, era nata insomma, un bel giorno.

Contadina come tante, aveva aperto gli occhi sulla montagna. Una rocca, una vecchia rocca dei signori di Rimini, forse in antico signori anche del suo podere. Anni duri, povertà, fatica e tanta voglia di vivere. Aveva cominciato da bambina (in campagna lavorano anche i bambini, per quel che possono), giochi semplici; e la chiesa dei frati lì vicina. Preghiere, canti, carità e tanti sorrisi.

Col sole e con la pioggia andava in chiesa e preparava il caffè ai frati.

Elvira ha terminato la sua vita, vivendola. Chi guarderà i fiori adesso, chi ne avrà cura? Quei fiori così belli e quel giardino invidiabile, che era la gioia degli occhi e del cuore di chi passava di lì…

Le ragazze, si sa, prima o poi si sposano e mettono su famiglia, come è naturale.

Un bravo ragazzo lavoratore, una casa e via. Le rondini fanno lo stesso: fanno il nido e nascono i rondinini.

Dalla montagna nella bassa, a ridosso della collina, che guarda dall’alto il fiume lontano e quella strada su cui corrono da matti le auto e i camion. Una piccola casa nel ghetto, poi, pian piano, un pezzo di terra ed una casa nuova, col giardino e il campo, coltivato così bene che anche le bambine golose di pomodori di qua dalla rete andavano “a rubare” fra lo stupore dell’ordine che vi regnava e la gentilezza di chi ci abitava.

La domenica, dopo la prima Messa, Elvira riceveva il prete, per la colazione e le chiacchiere, sempre buone, scherzose allegre e vivaci. Il caffè dell’Elvira era famoso in tutto il mondo, quel piccolo mondo del villaggio. Non c’è bisogno di viaggiare per mari e per monti su grandi navi o jet potenti. Si può vivere il mondo in pochi chilometri. Il giorno dei morti, fuori dal cimitero, l’Elvira offriva discreta il caffè, nel thermos e tutti dicevano che era buono, chi se ne intendeva e chi no; lo beveva anche chi non lo beveva mai tanto era speciale.

La vita passa in un soffio ed è passata anche per l’Elvira. Andava in parrocchia, e sembra ieri, a pulire il bagno per tutti, nella casetta rimessa a posto, i fiori nell’aiuola della parrocchia e le piante alla grotta di Lourdes e lì attorno, curva negli ultimi anni e con fatica, ma fedele, gioiosa e attenta.

Elegantissima a Messa la Domenica, perché si va dal Signore. Lo ha sempre servito, nel marito, nei figli, nel parroco, nella gente.

Non è necessario vestirsi da Max Mara o al Mercato del Comune. Sempre ordinata, come i suoi fiori.

Gioie e dolori chi non li ha? Un maschio e due femmine e i nipoti e il suo Batecca.

Fino a 92 anni, giorno per giorno, con qualsiasi tempo, certa, sempre più certa, anche col suo girello, lei che correva sui prati a perdifiato…

Il suo amato Batecca, che faceva paura ai bambini per scherzo e dava consigli agli operai, l’aveva lasciata sola un giorno, morendo in Ospedale. Lei aveva continuato, accolta dalla nuora, amata dai figli ed ora l’ha raggiunto. Sposi per sempre, dove le cose sono sempre in ordine e tutto è dove deve essere e si litiga e si discute solo per amore.

L’Elvira dei fiori ne avrà da coltivare adesso!

Dicono che la Madonna l’abbia chiamata a sé per curare il Suo giardino, quello dove giocano gli angeli e anche Gesù, passando, si ferma di tanto in tanto per godere dei loro colori e profumi.