domenica, novembre 20, 2022

Antonio che amava la scuola

Si può avere tanti anni e andare a scuola con gusto?

Antonio amava la scuola fin da piccolo. Ai suoi tempi andare a scuola era anche pericoloso. Sì, perché c’era la guerra e sapevi come l’avresti raggiunta, ma non sapevi se saresti tornato a casa sano e salvo. La scuola e il lavoro: la mattina sui banchi, il pomeriggio a dare una mano a suo babbo o correre in bicicletta per portare i telegrammi a Gatteo, quello a mare e così guadagnare qualche soldo per integrare i soldi che il babbo portava a casa. Antonio aveva sempre avuto voglia di lavorare e già nonno continuava a farlo.

Sì, come tutti era andato in pensione quando era ora, ma, come si dice di Dio, Antonio era un eterno lavoratore. Non gli ha mai fatto schifo… e come lo sapeva fare! Bocia da elettricista sapeva fare tutto, ma proprio tutto. Da quando aveva salvato la sua mamma durante un bombardamento - perché, intelligente com’era, aveva imparato a riconoscere dal fischio il tipo di bomba e dove sarebbe caduta – lavorava con testa, imparava con passione e insegnava, sapeva dire a tutti come si fa e come non si fa.

Era diventato elettricista e si era messo in proprio, si era sposato con una bella ragazza - anche lui era bello - e aveva messo su famiglia, una bella famiglia. Poi si era messo nel commercio e aveva conquistato la fiducia del grande padrone dell’OMNIA: maneggiava soldi e persone con la maestria di un mago, sempre rispettoso, sempre attento e leale, sempre onesto anche quando fiumi di lire gli passavano per le mani ed era diventato un compratore di classe, un venditore di vaglia ed un babbo sempre più attento e premuroso, sempre più innamorato di quella ragazza con cui condivideva la vita e tutto il resto.

I bambini crescono, i lavoratori vanno in pensione; ma quella passione di vivere non gli è mai venuta meno.

La scuola, quella scuola, la scuola sul mare abbandonata e rifugio di topi, piccioni e poveri barboni, emigranti senza casa, senza arte né parte…qualsiasi rudere va bene…e via a metterci le mani e il cuore…pulire, ricostruire, pitturare, scartare, fare la guardia, rimettere in ordine, gettare via e metterci del nuovo.

Che lavoro! Che impegno con tanti amici, imprese, idraulici, muratori, architetti, ingegneri e semplici contabili. Lui era sempre lì, punto di riferimento perché Antonio amava la scuola, quella scuola, la scuola che aveva visto 100 anni prima tanti bambini in colonia al mare. Bambini malati, bambini forestieri, bambini che un medico saggio di Como voleva far vivere senza malanni… e ancora qualcuno se ne vede, ritornato da grande negli alti corridoi, nelle scale adatte ai piccoli passi, a ritrovare quel clima, quelle mura, vecchie e giovani, che ancora risuonano, allora e oggi, di un bel vociare musicale e passi che corrono nel cortile di fuori e nei corridoi, allora come ora.

Sì, Antonio c’era, l’ha vista rinascere coi suoi occhi, l’ha fatta crescere con le sue mani, con tanti amici, la Lella, don Giancarlo e tanti professori, che da giovani crescevano con lui, facendosi compagnia, crescendo e scherzando, mano nella mano, costruttori mai stanchi, educatori appassionati. Antonio educava con se stesso: magari non ricordava più quando era nato Cicerone o Cesare aveva sconfitto i Galli – un povero elettricista sa fare gli impianti e cambiare le lampadine e dar da dire alla Jone, la supercuoca che non lascia mai i fornelli con le sue colleghe, scherzare con la segretaria sexy dal telaio ancora perfetto o apprezzare la prof di matematica sempre in ordine, farsi aiutare dai vecchi fratelli falegnami ancora in gamba o dirigere i lavori delle imprese o tenere in ordine il bruciatore del riscaldamento, tagliare l’erba del prato e godere delle margherite che, a suo tempo, lo impreziosivano come un vestito pieno di perle, riprendere gentilmente i ragazzi che facevano i dispetti ed essere burbero e grazioso al tempo stesso – ma educava con i suoi gesti, la sua premura, l’attenta vigilanza e l’amore verso sua moglie che curava il giardino come se fosse l’Eden. Bastava guardarli, guardare come si guardavano, il rispetto e la stima fra loro per credere che sì, amarsi è possibile ed anche i bambini di prima, quelli delle Medie, capivano che erano capitati in una scuola-scuola, bella, affacciata sul mare, vecchia e tenera come i vecchi marinai che l’avevano frequentata come bagnini di quei bambini gracili ora molti, chissà, non più vivi.

La scuola in riva al mare. La scuola è ancora lì, a pochi passi dalla spiaggia dove i nuovi ragazzini giocano a frisbee e corrono o stanno in silenzio a guardare verso il mare e l’oltre che c’è di là e scrivono o giocano – Bubi fa religione così, con la “guerra spagnola”, davanti all’acqua e al Mistero che vive in ogni cosa – Antonio invece è partito.

Ora vede dall’alto la sua scuola, quella che ha tanto amato, anche al tempo del Covid, quando non è più potuto venire (ma veniva di nascosto) a vedere il suo piccolo orto e i fiori dell’Alba, sua moglie e riguarda tutto, la festa dei suoi 80 anni in Aula Magna con i ragazzi a fargli corona, grandi e piccoli, il bar dove prendeva il caffè e i piccioni che aveva chiuso nelle reti, quel grande pennone che non porta più bandiere e il parcheggio, il suo laboratorio sempre ordinato con le mappe di tutti gli impianti e i pozzetti, gli scalini da riparare, le porte e i salsicciotti per proteggere dalla fredda buriana quei bambini e le bambine, bellissime nella loro infanzia, che pian piano diventavano signorine e quelle che tornavano a trovare i professori da sposate e regalavano un sorriso grato anche a lui, quei corridoi lunghi ed i soffitti alti, l’ascensore, gli orologi, la piscina e le ville da restaurare – ora che non c’è lui chi lo farà?! Chi riparerà i bagni e le porte dei gabinetti, la carta bagnata sui muri, chi avrà cura dei costumi e delle attrezzature del Presepe Vivente, che ogni anno faceva stupire di meraviglia questa piccola grande città, che va fra l’Arco d’Augusto e il Ponte di Tiberio?

Antonio, riposa! Hai compiuto il tuo lavoro. Bene, come hai sempre fatto… tanto vedrai che lassù non ti lasceranno con le mani in mano. Ti hanno atteso da sempre, da quando hai aperto gli occhi in quel pezzettino di Romagna fatto apposta per te - da quella donna, tua mamma, cui eri stato mandato perché si salvasse un giorno dalla violenza degli uomini arroganti che volevano togliersela dai piedi come succede ancora oggi ad altre donne offese dalla guerra, disprezzate nell’essere madri - da quando hai incontrato quella ragazza così generosa e gentile, che ti ha dato figli e nipoti e una casa bella, ordinata e calda per te e per gli amici. Ti hanno atteso in tanti. Tu ora attendi noi. Verremo a darti una mano, come tu l’hai data a noi.

La fatica, la malattia, quel cuore matto che voleva fermarsi e fermarti ti hanno vinto, ma non l’hanno fatto per sempre. Il per sempre, il tuo e il nostro per sempre è un’altra cosa. Chissà com’è la scuola lassù?! La vera Comasca è tua per sempre e nessuno te la potrà togliere, nessuno potrà mandarti via di lì.

Vieni, servo buono e fedele! La Lella e don Giancarlo sono lì, sono qui, con la Chiarabini, la Colette e tutti quelli che ci hanno amato e ci amano ora e per sempre.

Per sempre!



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