martedì, novembre 21, 2023

Mario

Molto volentieri ospito l'articolo che un amico giornalista riminese, Serafino Drudi, ha scritto come memoria grata, su Mario Perazzini, umile e dignitoso professore e albergatore, amico sincero di tante persone che hanno avuto la grazia di conoscerlo e stimarlo.

UN DEBITO DI RICONOSCENZA VERSO MARIO PERAZZINI 

Quanto scrivo è un debito di riconoscenza che ho contratto con un amico tanto tempo fa e che non ho mai pagato. È per questo che non lo faccio per professione e non lo faccio sul giornale online sul quale abitualmente scrivo e quindi neppure mi attengo strettamente alle “regole professionali”. 

Questa intuizione poi l’ho avuta, pensate, ai suoi funerali, svoltisi martedì 21 novembre nella strapiena chiesa di San Giovanni Battista. Mario Perazzini aveva compiuto 79 anni il 16 novembre. Sabato mattina si era alzato presto per andare a coordinare la colletta alimentare a Torre Pedrera. Ma durante il tragitto un’auto che veniva in senso contrario sulla statale Adriatica all’altezza di Viserba, è improvvisamente impazzita, piombandole addosso. Ormai lo sapete dalle fredde cronache sui giornali e online, la corsa dell’ambulanza al Bufalini di Cesena, non è riuscita a salvarlo e Mario se n’è andato in Paradiso. Don Claudio Parma presiedeva la celebrazione funebre a cui partecipavano anche altri cinque preti, il parroco don Lauro Bianchi, don Mario Vannini, don Bubi (Stefano Vendemini), don Marino Paesani, don Giorgio Pesaresi. 

Don Claudio nell’omelia ha immaginato il dialogo avuto in quegli istanti tra Gesù e Mario: "Caro Mario, ho cambiato i piani di questa tua giornata e ti sto venendo incontro per dirti che ti voglio con me, presto in fretta, così come sei". E Mario che rispondeva: "Mi stanno aspettando alla Colletta, che aiuta tante persone povere. È tutto pronto per iniziare". Gesù replica: "Lo so e il tuo grande cuore mi commuove, tu sei fra quelli che mi hanno dato da mangiare quando avevo fame ma oggi sei pronto per questo nostro grande incontro". 
Mario, uomo appassionato e generoso, ha risposto che voleva almeno salutare gli amici e anzitutto l’amata moglie Amelia, i figli e le loro famiglie i tanti nipoti e tanti amici. Ma evidentemente Gesù deve averlo rassicurato. "Li saluterai dal Paradiso. Anche perché se volessi farlo non ti staccheresti più da loro. Io stesso ti farò vedere come farlo con più amore perché li vedrai come prima non li avevi mai visti, con gli occhi con cui li guardo io. Non sai che quelli che amo devono passare attraverso la croce che Io stesso ho portato per essere miei fino in fondo? Ti pare poco?" Mario: "No Signore questo è tutto e allora portami con te".

Mario era insegnante di materie tecniche e amministrative al Valturio ma fino a qualche anno fa gestiva assieme al grande aiuto della moglie Amelia un piccolo albergo a Torre Pedrera. Davano una mano anche i figli che crescevano: Betta, Francesco e Marco. Forse questo era il suo primo lavoro; il suo modo di mettere in atto l’accoglienza per chi veniva in vacanza. Clienti famosi, che venivano al Meeting, e meno famosi si trovavano perfettamente a loro agio in questa struttura perché si sentivano come a casa. 
Era uno dei primi e più fedeli componenti della comunità di Comunione e liberazione di Rimini, non certo nei primi posti. Un uomo dal cuore buono, come dice il canto eseguito alla messa. Un canto che Chieffo avrebbe potuto scrivere per lui. 

Alla fine della messa è stato il figlio Marco a parlare, rivelando che i tanti amici lì stavano a esprimere che il carattere che appariva docile e “debole” del padre <nascondeva il suo tratto più forte: la capacità di amare e darsi con discrezione, senza apparire. Hai amato la mamma, le tue sorelle, il mare, il pesce al mercato, il vino, tantissimo noi tuoi figli e i nipoti sopra ogni cosa. Amavi i clienti che venivano in albergo e se ne andavano dalla villeggiatura grati di essere stati accolti come a casa. Ricordo che nel cavalcavia dove è accaduto l’incidente, siamo passati tante volte da bambini e proprio in quel punto ci avvisavi sempre. “Guardate, tra poco si vede il mare”. Quello squarcio di mare che si apre da lì, nonostante si tratti dell’Adriatico e non dell’oceano, aveva il sapore dell’infinito, che puntualmente ci hai trasmesso. Credo proprio che tu poco prima dell’incidente pochi giorni fa, pregustassi di vedere il mare da sopra quel cavalcavia. E quell’infinito anziché vederlo all’orizzonte, ti è venuto incontro, proiettandoti in un mare più grande. Sei stato accolto mentre andavi ad accogliere. È chiaro che la notizia di quella mattina ci ha lasciati smarriti ma poi abbiamo tutti alzato gli occhi al cielo. Grazie perché a tutti ci hai portato a guardare in alto. Pochi giorni prima, per il compleanno gli amici avevano regalato al babbo una foto con la mamma con una poesia in dialetto che s’intitolava “Romagna in Paradiso”.

Vorrei spiegare meglio a questo punto il motivo del mio debito di riconoscenza nei suoi confronti, come dicevo all’inizio. Diversi anni fa io lavoravo al Carlino e lui venne da me per segnalare un’iniziativa extrascolastica rivolta agli studenti delle superiori. Mi disse: "Dovresti scrivere qualcosa!". Un po’ per pigrizia, un po’ perché stavo facendo altro, non scrissi quell’articolo… anche se ebbi modo poi di constatare che lui aveva ragione a fare quella segnalazione. Diverso tempo dopo, bonariamente e simpaticamente come sempre, me lo fece notare. E io gli chiesi scusa. Ma non è solo questo il mio debito di riconoscenza, altrimenti si cadrebbe nel “rischio del ricatto _ come ha detto don Claudio nell’omelia_ di pensare che avremmo potuto fare di più, che avremmo potuto trattarlo meglio e con minore sufficienza”. La vita di Mario ora non è finita ma si è compiuta. E una cosa possiamo fare ora non tanto per lui, ma come ha fatto lui, a cominciare dai famigliari e dagli amici certo: amare la “storia di amicizia che Dio ci ha fatto incontrare”. Voglio fare mia l’indicazione della omelia di don Claudio: <Oggi Mario ci dice una cosa: “Non perdete tempo e siate vigilanti. Vivete con intensità la storia di amicizia che ci ha fatto incontrare. Se volete starmi vicino dovrete amare sempre di più questa storia che oggi mi ha portato davanti a Cristo. Voi nelle vicende del mondo io davanti a Lui, che ora vedo faccia a faccia. Certamente Mario ci rincontreremo, ti rivedremo e ascolteremo la tua voce".

Serafino Drudi



mercoledì, novembre 15, 2023

Il finanziere

Tutti lo chiamavano Ferruccio e così era conosciuto dagli abitanti del piccolo borgo di S. Ermete.
In realtà era il Maresciallo Ferruccio di Mario, conosciuto e stimato in diverse parti d'Italia, da Pennabilli, dove era nato, alla Scuola Alpina di Predazzo, dove si era formato, fino a Roma, dove aveva trovato anche l'amore della sua vita, Anna.

Il cappello alpino, vanto dell'omonimo corpo e dei finanzieri, che ricorda il compito che ebbe la Guardia di Finanza nel garantire il controllo dei confini italiani, è ora appoggiato sulla bandiera italiana posta sulla bara. 
Ferruccio è onorato dal saluto degli appartenenti all'ANFI (Associazione Nazionale Finanzieri Italiani) sul sagrato della piccola chiesa.
Moltissima gente lo accoglie all'interno e la bella omelia di Don Stefano ricorda i fatti salienti della sua vita e le sue azioni tutte spese per l'aiuto a questa comunità: la Casa dei Nonni, il Podere Santa Pazienza, una fattoria didattica per i bambini e Villa Greta per l'assistenza a persone con problemi psichici, oltre l'aiuto alla Parrocchia e alla locale Società Sportiva.

Tre figli, il primogenito, che non nacque mai e due figlie, Elisabetta e Federica. Tre nipoti e tante persone a lui grate. Sempre attivo e prodigo di aiuto a chi glielo chiedesse, la stima e l'affetto dei colleghi del Comando Provinciale della Finanza di Rimini. Meriti e stima ben espressi da molte voci nei saluti finali della S. Messa di esequie e dall'affetto tributato ai familiari da molte persone.

A me piace ricordare un breve colloquio informale avuto con lui alcuni anni fa, quando mi raccontò della sua attività professionale volta al contrasto dell'evasione fiscale. Era stato inviato in una bottega artigianale dove, insieme ad alcuni artigiani regolari, altri operavano in nero, essendo stati costretti alla chiusura della loro attività per difficoltà finanziarie. Alla vista delle guardie erano scappati dal retro. Alcuni suoi subalterni si erano già messi all'inseguimento quando lui li aveva fermati dicendo loro che erano persone bisognose di lavoro per sostenere la famiglia e non di ulteriori guai.

Mi colpì molto questa sua umanità e mi riportò alla memoria quello che un altro finanziere dell'Argentario, amico di un amico sacerdote, mi aveva raccontato di persona. 
Ai tempi in cui l'Isola di Pianosa era un carcere, alcuni detenuti erano riusciti ad evadere, impadronendosi di una barca a remi in inverno e subito era scattato l'allarme e la richiesta di collaborazione a tutte le forze di polizia. Nelle ricerche  fu coinvolta anche la compagnia di cui era a capo. Fu proprio lui a rintracciarli e fermarli, stanchi e infreddoliti. Accoltili e imbarcati sulla motovedetta, i suoi ragazzi gli avevano chiesto: "Comandante, li ammanettiamo?" "Date piuttosto loro delle coperte e del te caldo!" aveva risposto. Al momento dell'arrivo in porto per la consegna degli evasi ai Carabinieri, uno di essi, salutandolo gli aveva detto: "Comandante, se io avessi incontrato prima delle persone come lei, ora non sarei in carcere".

Ricordo questi fatti con commozione. 
Un moto latino recita: "Summum ius summa iniuria",  il massimo del diritto è il massimo dell'offesa, l'applicazione schematica della Legge genera danno e disattende la stessa norma.

Ferruccio è stato un finanziere cristiano, ha vissuto con fede il suo servizio a difesa e tutela della gente, onorando la sua patria e il nostro popolo, nei limiti della sua umanità e nella semplicità dei compiti a lui affidati.

Che sia fatta questa grazia a ciascuno di noi, lì dove è chiesto a ciascuno di noi di rendere gloria a Dio e di amare Gesù.



venerdì, novembre 10, 2023

Tutto per Luciano

E così un altro caro amico se n'è andato.
Un compagno di scuola. Eravamo bambini.
C'eravamo rivisti solo pochi anni fa, avevamo fatto festa al Maestro e oggi siamo qui in chiesa, nella bella Basilica Cattedrale di Sarsina a dargli l'ultimo saluto.

Mi sveglio tardi stamattina; se non fosse stato per Bubi chissà quando mi sarei svegliato.
Sembra che tutto concorra a non farmi arrivare a questo appuntamento. Sarà freddo, pioverà? L'autobus arriva in ritardo e va piano. Chissà se l'autista dorme ancora o avrà dormito poco. Riuscirò a prendere il treno?
Scendo alla fermata più vicina, mi fiondo di corsa verso la stazione, scendo le scale del sottopassaggio; due barboni dormono a terra sotto una coperta; il treno non è ancora arrivato, ha cinque minuti di ritardo.

Ci sono. Un'alba splendida annuncia una giornata da favola.
Cesena. Stazione piena di studenti in attesa. 
Stefano verrà a prendermi per andare insieme a Sarsina.
La farmacia apre alle 8,30 e subito arriva gente.
Le due farmaciste Marika e Federica mi sono presentate da Stefano.
Enrico bussa allla vetrina; esco e lo raggiungo. Parliamo. Il vecchio asilo delle suore mi guarda di fronte e mi risveglia i ricordi, della mattina in cui nacque la mia sorella Rosy, il primo febbraio di una giorno con tanta neve, le suore, la colazione dopo la prima comunione... ora si è trasformato in centro culturale e biblioteca.
La scuola in fondo alla strada da una parte e dall'altra la piazza, il luogo delle chiacchiere e dei giochi, dei primi sguardi alle ragazze, della partenza delle rondini a fine stagione e di tanti incontri quotidiani, il foro degli antichi sarsinati e dei nuovi e di quelli che verranno dopo di noi. Il tempo passa e il mondo si rinnova. Chi c'era non c'è più e chi sarà non ancora, ma la piazza è sempre lì.

Enrico, l' "umarein", mi guida a scoprire tutte le novità, lo scavo nuovo con il tempio riscoperto. Dovevano farci una nuova palestra, con sala multifunzionale e sotto un supermercato Conad, tanto pagava Roma e scavando scavando per puntellare e fare fondamenta, voilà spunta un recinto in pietra arenaria e un pavimento in marmo rosso. E' venuto anche Sgarbi e il Ministro, entusiasti. Bellissimo e tutti i lavori fermi. Chissà cose ne faranno! Il sasso in calcestruzzo della fucina del fabbro l'hanno trovato mentre costruivano una casa ed è rimasto lì, sotto la casa. 
Le case nuove e quelle che c'erano. Giriamo per la Sarsina che c'è e quella che non c'è più.
Enrico è un'ottima guida, con un'ottima memoria. Perché non lo assume la Pro Loco?
Ritrovo il cortile in cui giocavo con l'Elisabetta; la casetta di Fiuchin, l'orologiaio non c'è più e al suo posto una nuova casa ora chiusa. Il nostro grande giardino è sempre stato piccolo, me ne accorgo ora, ma noi ci perdevamo in esso. Il negozio che già fu di Pompeo il barbiere e di Giovanni, il suo garzone, tanto amato dal Maestro.

Giampiero ci raggiunge verso la città bassa. 
Mascherina sul volto, andiamo a far visita a Stefano, il macellaio. Ricordo ancora suo babbo. Il suo fratello gemello Carlo non è mai uscito dalla mia mente e del mio cuore. Adesso non c'è più, nemmeno lui e Armandino e Muzietto, che ci hanno preceduto ed ora Luciano.
Ci accoglie sulla porta e ci sediamo in sala, sul divano. Come se ci fossimo lasciati il giorno prima e sono passati decenni. Si scherza, si ride, si ricorda, si esce insieme ad attendere Luciano. Verrà da Cesena con la moglie e i figli per l'ultima volta. Nato lontano ha voluto riposare coi nonni il babbo e la mamma. Sarsina è stregata: ti entra nel cuore e non ne esce più.
Ricordo bene quando tornò dall'India. L'unico di noi che parlava inglese. "Come on" diceva e noi lo seguivamo incantati. Chi sapeva parlare inglese come si parla l'italiano?! Vuoi mettere? Noi avevamo letto nei libri i posti di Sandokan; lui li aveva visti!

In piazza Fabrizio, Tobia, Giovannino, Enrico, Olindo e Roberto ci aspettano. Festa e saluti, inondati dal sole. Voglio vedere la "mia" villetta davanti al Consorzio Agrario, che ora non c'è più, sostituita da una villa grande, che ha occupato tutto il giardino davanti e l'orto sul retro.
Luciano è già entrato in chiesa e giace a terra sul tappeto rosso con dei fiori sopra la cassa.
La chiesa è piena, di tanta gente e tanti amici venuti da lontano. La moglie e i figli vicini a lui. La chiesa è sempre bella. L'omelia del sacerdote è semplice e chiara. L'amore vince ogni cosa e nulla va perduto.

All'uscita la Giovanna dei tabacchi fa una foto a tutti noi e Stefano del macello è in mezzo a noi. Luciano aspetta nell'auto aperta. Tobia lo nota e ci dice: "Come si usava una volta". Ci salutiamo. Dio voglia che ci ritroviamo ancora insieme. Nulla succede a caso. "Dobbiamo andare in Paradiso tutti, Giampiero -  gli dico - sarebbe un peccato non farlo ora che ci siamo ritrovati".

Seduto sulla panchina appoggiata al muro dell'Ufficio Postale attendo l'arrivo di Giampiero. Andremo a mangiare un piatto di tagliatelle come non si mangiano da nessuna parte al mondo. Fabrizio mi vede, mi presenta sua moglie Vincenza e m'invita a gustare le fave dei morti. In questo piccolo bar pasticceria sotto i portici gustiamo un aperitivo e ci parliamo di tanto e di ciò che verrà. Anche i "vecchi" hanno un loro futuro e desideri inespressi. Chissà perché desideriamo sempre che la nostra vita si compia e sia bella.
Stefano e Giampiero mi hanno cercato col telefono, volevano quasi scrivere a "Chi l'ha visto". Avevo dimenticato di riattivare l'audio.

"Andiamo a mangiare!" 
Saluto mio fratello, Marika e Stefania e seguo Giampiero, fiducioso e contento di stare con lui. Il ristorante, piccolo e molto accogliente, si trova di là dall'altra  parte della strada, trafficatissima a suo tempo dai camion che andavano a Roma ed ora vuota del traffico pesante che la superstrada lungo il fiume ha sostituito permettendo di non passare più per le pericolose curve di Quarto. Entriamo. 
Una bellissima ragazza africana mi incrocia quasi sulla porta. La conosco. Ma si, è proprio lei! Con l'ultima bambina nata, stupenda con una fascia in testa. 
"E tu cosa ci fai qui?"
"Ti ho visto prima in chiesa. Sono amica della figlia di Luciano"
Che sorpresa fantastica! Un'amica carissima di Bubi, nuora di un'amica indimenticabile, e suo marito...la Kelly!
La presento a Giampiero.

Un tavolino al centro della piccola sala ci accoglie con tanti avventori. Si mangia bene qui e a buon prezzo! Ci accomodiamo, ordiniamo. Tagliatelle ai piselli e ravioli al ragù. Il panorama è fantastico. Tutta la valle a mare si apre davanti a noi e Perticara in cima sullo sfondo.
Le storie della famiglia Fabbri ci fanno da contorno; la notizia di una camion che brucia in galleria ci riportano alla realtà. La lunga fila di auto che vediamo dall'alto di Calbano e che troviamo al ritorno da questo piccolo borgo sovrastante la città capitale degli Umbri prima che Roma la facesse sua, ci rivela tutto il dramma. Superstrada chiusa e lunga fila sulle curve della vecchia strada per la Città Eterna. Pochi chilometri per una lunghissima attesa.

Il nuovo Teatro Plautino in cima a Calbano è come una cattedrale nel deserto. Pochi giorni di manifestazione teatrale e lunga pausa in attesa di quelle future. Grande, moderno, da 900 posti, ad anfiteatro come si usava in antico, con copertura automatica in caso di pioggia, aspetta paziente i grandi attori e gli appassionati spettatori.

Lungo la valle che porta a S. Agata Feltria nuovi racconti e nuovi sguardi. Giampiero mi porta a vedere dei posti incantati: Petrella Guidi, il piccolo borgo che guarda dall'alto la riva sinistra del Marecchia in faccia a Pennabili sull'altro lato, è stato rinnovato e abitato da ricchi amici di Tonino Guerra. Vediamo due lastre coi nomi di Fellini e la Masina, sua moglie. Scendiamo a Ponte Messa per il pane e la farina. Il forno è chiuso ed il mulino rinnovato macina in continuazione il grano. Molino Ronci, macinato a pietra. Marcello, il proprietario e amico di Giampiero ci saluta cordiale. Passano gli anni, muta il colore dei capelli, ma la stima e l'affetto restano immutati.

Saliamo a Pennabilli. Entriamo nel paese. All'angolo della piazza il mini-ristorante della Peppa conserva solo la vetrina. In mezzo alla piazza la fontana della pace ci ricorda il tempo in cui i due borghi contigui di Penna e di Billi si unirono in un'unica comunità. Dall'alto della roccia di Penna si vede ancora sulla cima dela roccia vicina la croce e il convento delle monache di Billi. La campana tibetana, copia dell'originale di Lhasa, ricorda ancora il lavoro e la missione di Fra' Francesco Orazio Olivieri della Penna in quel paese lontano dove nasce il Gange. Appena più in basso una targa in maiolica di Tonino Guerra ricorda la vita di una donna che amava chiccchierare in silenzio con la Madonna nella chiesa contigua. Un bellissimo affresco della Vergine in trono col bambino ci accoglie nella penombra della sera e della chiesa. Nelle sere invernali e nelle calde giornate estive le due donne si parlavano da amiche. Sull'altare una luce rossa accesa ci ricorda la presenza del padrone di casa. Nell'ampio spazio semplice, un organo sulla porta non suona, ma ci ricorda che il luogo è frequentato. Le strade strette ci riportano in piazza e poi a valle. Giampiero conosce bene e ama questi luoghi. Torniamo e verso casa, una breve deviazione ci porta in un angolo sconosciuto, un ghetto di case pressochè invisibile dalla via principale che percorre verso l'appennino l'appendice nuova della Provincia di Rimini riportando in Romagna questa terra al confine, contesa  in antico fra i Duchi di Urbino e i Malatesta da Verucchio, signori di Rimini. Una loro discendente è tuttora mia amica di Liceo. 
La storia si rinnova e passando di età in età ci rende edotti a chi apparteniamo: non siamo soli, siamo di qualcuno.

Nel silenzio della sera e nel traffico convulso del fondo valle, sulla Marecchiese. giungiamo a S. Ermete. Sono a casa. Il buon Giampiero tornerà a Imola, da sua moglie e da sua figlia Sara.
Che bella giornata! Gli amici, le nuove scoperte, gli incontri, la compagnia, i ricordi, il sole e la vita. 
Tutto per Luciano. Grazie a Luciano.

"Suonaci qualcosa che sia dolce e amara come la vita" dice un brigante a Toma Alistar nel meraviglioso film di Emil Loteanu "I Lautari".
La vita è molto di più che un film, è un film vero, in cui ciascuno di noi partecipa da protagonista. 
Si nasce si muore, dentro una  bellezza che incanta, di cui la morte non è l'ultima parola. 
Grazie a Gesù. 
Grazie a Luciano, oggi con Lui.