Tutti lo chiamavano Ferruccio e così era conosciuto dagli abitanti del piccolo borgo di S. Ermete.
In realtà era il Maresciallo Ferruccio di Mario, conosciuto e stimato in diverse parti d'Italia, da Pennabilli, dove era nato, alla Scuola Alpina di Predazzo, dove si era formato, fino a Roma, dove aveva trovato anche l'amore della sua vita, Anna.
Il cappello alpino, vanto dell'omonimo corpo e dei finanzieri, che ricorda il compito che ebbe la Guardia di Finanza nel garantire il controllo dei confini italiani, è ora appoggiato sulla bandiera italiana posta sulla bara.
Ferruccio è onorato dal saluto degli appartenenti all'ANFI (Associazione Nazionale Finanzieri Italiani) sul sagrato della piccola chiesa.
Moltissima gente lo accoglie all'interno e la bella omelia di Don Stefano ricorda i fatti salienti della sua vita e le sue azioni tutte spese per l'aiuto a questa comunità: la Casa dei Nonni, il Podere Santa Pazienza, una fattoria didattica per i bambini e Villa Greta per l'assistenza a persone con problemi psichici, oltre l'aiuto alla Parrocchia e alla locale Società Sportiva.
Tre figli, il primogenito, che non nacque mai e due figlie, Elisabetta e Federica. Tre nipoti e tante persone a lui grate. Sempre attivo e prodigo di aiuto a chi glielo chiedesse, la stima e l'affetto dei colleghi del Comando Provinciale della Finanza di Rimini. Meriti e stima ben espressi da molte voci nei saluti finali della S. Messa di esequie e dall'affetto tributato ai familiari da molte persone.
A me piace ricordare un breve colloquio informale avuto con lui alcuni anni fa, quando mi raccontò della sua attività professionale volta al contrasto dell'evasione fiscale. Era stato inviato in una bottega artigianale dove, insieme ad alcuni artigiani regolari, altri operavano in nero, essendo stati costretti alla chiusura della loro attività per difficoltà finanziarie. Alla vista delle guardie erano scappati dal retro. Alcuni suoi subalterni si erano già messi all'inseguimento quando lui li aveva fermati dicendo loro che erano persone bisognose di lavoro per sostenere la famiglia e non di ulteriori guai.
Mi colpì molto questa sua umanità e mi riportò alla memoria quello che un altro finanziere dell'Argentario, amico di un amico sacerdote, mi aveva raccontato di persona.
Ai tempi in cui l'Isola di Pianosa era un carcere, alcuni detenuti erano riusciti ad evadere, impadronendosi di una barca a remi in inverno e subito era scattato l'allarme e la richiesta di collaborazione a tutte le forze di polizia. Nelle ricerche fu coinvolta anche la compagnia di cui era a capo. Fu proprio lui a rintracciarli e fermarli, stanchi e infreddoliti. Accoltili e imbarcati sulla motovedetta, i suoi ragazzi gli avevano chiesto: "Comandante, li ammanettiamo?" "Date piuttosto loro delle coperte e del te caldo!" aveva risposto. Al momento dell'arrivo in porto per la consegna degli evasi ai Carabinieri, uno di essi, salutandolo gli aveva detto: "Comandante, se io avessi incontrato prima delle persone come lei, ora non sarei in carcere".
Ricordo questi fatti con commozione.
Un moto latino recita: "Summum ius summa iniuria", il massimo del diritto è il massimo dell'offesa, l'applicazione schematica della Legge genera danno e disattende la stessa norma.
Ferruccio è stato un finanziere cristiano, ha vissuto con fede il suo servizio a difesa e tutela della gente, onorando la sua patria e il nostro popolo, nei limiti della sua umanità e nella semplicità dei compiti a lui affidati.
Che sia fatta questa grazia a ciascuno di noi, lì dove è chiesto a ciascuno di noi di rendere gloria a Dio e di amare Gesù.
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