mercoledì, settembre 08, 2010

Perché il mare d'inverno è grigio

I vecchi pescatori raccontano che i vecchi pescatori raccontavano che una volta, molto tempo fa, il mare era sempre azzurro e trasparente. Anche al Polo Nord.
A dire la verità questo fatto è scritto in tutte le scritture di tutti i popoli: perfino su una tavoletta di corteccia di mangrovia, ritrovata per caso, cento anni fa, nella foresta del Borneo settentrionale da un esploratore distratto, che si era perso mentre cercava di tornare a casa dopo un derby Milan - Inter.
Dunque dicevamo: il mare era sempre blu. In ogni stagione.
I pesci non erano tutti blu. Erano un po' di tutti i colori. Come sono adesso.
Le alghe c'erano già.
Anche i ricci di mare. E facevano come adesso, né più né meno: foravano.
I cavallucci marini galoppavano di qua e di là, senza fermarsi mai, tranne quando era ora di mangiare. Fermi, immobili, col tovagliolo al collo, attorno ad un sasso piatto che faceva da tavolo, in perfetto silenzio, facendosi compagnia, aprivano la loro bocca ed ingoiavano quello che passava: animaletti piccoli, perché la bocca dei cavallucci è piccola, ed un po' buffa.
Così passavano gli anni, tranquilli, diversi e sempre nuovi.
Il mare si spingeva sulla spiaggia, sciabordava e si divertiva con la sabbia, o con gli scogli.

Un giorno, una bella mattina d'estate, verso la fine di giugno… alcuni dicono che tutto sia cominciato in Africa, all'incirca dove adesso c'è il Kenia, alcuni giurano che sia stato nel Madagascar… comunque… il mare si trovò sulla spiaggia uno strano personaggio.
Due gambine sottili sottili e due piedi nudi, un paio di mutandine rosse con su disegnati degli elefantini verdi (li avete mai visti gli elefanti verdi? Io no. C'è chi assicura che una volta gli elefanti fossero proprio verdi…), con una bocca aperta e due file di denti bianchissimi, capelli lisci scuri, una bellissima pelle color bronzo liscia e luccicante, due occhi spalancati grandi così.
Non aveva ancora finito di stupirsi che, da dietro una duna, sbucando fuori da un cespuglio di erba tagliente, ne uscì un altro, poi un altro, poi due che si tenevano per mano, poi una ricciolina con le trecce, nere, poi… provò a contarli (non era andato a scuola il mare; ma a forza di guardare le stelle, aveva imparato un po' di matematica): non ci riuscì.
Li guardò correre di qua e di là, pestargli le onde, fare castelli di sabbia, entrargli dentro, sguazzare nell'acqua, scompigliarlo tutto e fare un chiasso infernale.
Però erano simpatici.
Li lasciò fare. Anzi. Cominciò a prenderci gusto.
Che strano! Finora aveva conosciuto solo i pesci, e, guardando fuori, di notte, le stelle, sempre lì, ferme, zitte, luccicanti e fredde. E la terra, verde o scura, bianca o brillante, lì, ferma, zitta.
Ogni tanto passava un coniglio, veloce; ma scappava via.
Talvolta si fermava, si alzava sulle zampe di dietro, guardava, muovendo curiosamente le labbra, zitto, senza scambiare una parola. Poi correva via e chi sapeva qual era il suo nome?

Questi strani esserini senza pelo, nudi come i pesci (ma col costumino)… finalmente un suono. O Dio, era più un frastuono… no, no… un concerto, ecco, un concerto.
Finalmente qualcuno parlava, costruiva, finalmente…
… il mare allora si commosse.
Ogni giorno li aspettava, ogni notte pensava a loro ed anche se lui non poteva parlare era tuttavia molto molto contento
Imparò a conoscerli: il più vivace era Davide, Pietro un po' permaloso, Francesca la più bella, Maddalena era quella con gli occhi più spalancati (era la più piccola), Grazia si agitava sempre, Elisa era la più grande, Elena sognava già di diventare dottoressa… poi c'era Chicco, Dade, Mone, Cia, Vale e due gemelli che erano due gocce d'acqua.

Piano piano, su ogni spiaggia del mondo, anche nella lontana America che ancora non era stata scoperta, addirittura in Islanda, che è la terra di tutti i vulcani, sulla costa di Hong Kong ed infine a Rimini, fu tutto un pullulare di bambini (ecco come si chiamavano quei buffi animaletti chiassosi: bambini!).
Gialli, neri, rossi, bianchi (blu non esistono!), centinaia, migliaia, milioni di bambini scendevano in spiaggia e si divertivano con il mare.

Ed il mare non fu più solo.

Il mare, si sa, non invecchia mai.
Sì, è nato una volta… chissà quanti anni ha?… ma è sempre giovane.

Quando la Terra, girando, fa cambiare le stagioni, dopo l'estate viene l'autunno e poi l'inverno e tutto si ferma fino alle prime margherite.
Così, man mano che passavano i giorni e si avvicinava l'ora di cominciare la scuola, i bambini, uno dopo l'altro tornavano a casa; le prime volte nelle capanne dietro le dune, poi a Milano, a Gubbio, a Parigi o a Mosca, a Roccacannuccia o a Covignano.
Il mare allora incominciava a rimanere solo e diventava via via più triste, pensando al tempo passato a contemplare i bambini, a guardarli giocare, con le mamme che prendevano il sole sdraiate sui lettini e i babbi che giocavano a racchette.

Cominciò così, piano piano, d'autunno, a diventare grigio.
Non perché piove di più, o vengono le tempeste, o si agita e si rimescola tutto, o perché ci sono le nuvole invece del cielo azzurro e del sole.
No.
Gli prende la malinconia perché non vuole più restare solo.

E' nostalgia, solo nostalgia.
Il mare è grigio solo per nostalgia.

Quando tornano i bambini, d'estate, ritorna azzurro. Fateci caso.

E se proprio non ci credete, provate, un giorno, ad andare sul porto e a domandarglielo.
Ci ha messo un po' di tempo; ma sta cominciando a parlare!

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