mercoledì, settembre 08, 2010

Daniela

“I tacchini, nel giorno del Giudizio Universale, risorgeranno come individui o come specie?”
“I bambini mongoloidi, in Paradiso, saranno uguali a tutti gli altri?”
Due personaggi strani, due amici, ragionavano così fra loro, passeggiando lentamente sulla spiaggia, lungo il bagnasciuga, tra la foce dell’Ausa e quella vecchia del Marecchia.
Uno di loro,  professore di filosofia in pensione, aveva insegnato per moltissimi anni nel locale Liceo Classico.
L’altro era un vecchio taxista. Non era in pensione, perché lavorava in proprio. Prima, da ragazzo, come “bòcia”, poi con una licenza aveva comperato un’automobile tutta sua.
Come mai erano amici? Mistero.
Si volevano molto bene e spesso andavano a camminare lungo il mare ragionando.
Il mare era la passione di entrambi. Luigi era nato vicino al porto; il vecchio professore veniva da Gerace. Era un “maruchìn”, come si dice qui.
Avete mai visto Gerace? Peccato. Avreste potuto capire perché questo professore fosse così semplice, intelligente ed umile. Aveva conosciuto la bellezza ed il silenzio fin da piccolo, insieme alla tradizione greca, che parlava ancora nelle pietre e nelle persone.
Luigi, il taxista, era riuscito appena a finire la 5^ elementare.
Non era sposato. Amava però i bambini. Tanto. Una volta era andato fino in Cina per vederli e ricordava ancora quelli di Betlemme, più numerosi dei sassi.
Era diventato amico dei piccoli zingari che ogni tanto andavano in stazione a chiedere l’elemosina e a commuovere, infastidendoli, i viaggiatori di questa grande città di vacanze, conosciuta in tutto il mondo.
Molte volte, finito il lavoro, li caricava sul taxi e via, a fare un giro sulle dolci affascinanti colline dietro la città. Su e giù, con infinite curve ed infiniti panorami, uguali e diversi. Conosceva tutti i fossi e le ranocchie della zona, sapeva fare le strade più lunghe e quelle più corte. Guadava anche i fiumi, in secca.

Luigi aveva molti nipoti. Una però era la sua passione.
Non era neppure la sua nipote. Non aveva in comune con lei neanche un cromosoma. Era capitata in casa sua così, puf, per caso.
Si chiamava Daniela Stellamarina.
Adesso però si chiamava come il suo cognato, il marito di sua sorella, quella mora, un po’ “marocchina” anche lei.
Daniela era “marocchina”.
Tutti in questa storia sono un po’ “marocchini”.

Daniela era nata mongolina. I Dottori la chiamano “Bimba Down”.
Ancora oggi, per disprezzo, si dice: “Sei un mongoloide”.
Daniela era la passione di Luigi. Andava a casa di sua sorella solo per vederla, per parlarle, per guardare insieme la luna o per cantare.
Forse anche Luigi era un po’ mongoloide.

Luigi aveva delle nipoti bellissime, molto più eleganti ed affascinanti di Claudia Schiffer o di Maria Grazia Cucinotta. La Sabrina Ferilli, al confronto, doveva solo andare a nascondersi. Daniela era la più........, la più!

Un giorno le sorelle di Daniela erano andate a salutare un uomo buono, un personaggio, e l’avevano portata con sé. Nascosta, dietro un nugolo di ragazzine scalpitanti ed urlanti, se ne stava tutta intimidita, sgranando gli occhi e rovesciando il labbro all’ingiù come faceva quando non capiva.
Quel vecchio personaggio, amico anche del Papa, l’aveva vista, l’aveva guardata negli occhi e le aveva allungato una mano, in silenzio.
Da allora Daniela, ogni tanto ripeteva: “Quell’uomo... Daniela... Oooh”.
“Quell’uomo chi?” le chiedeva la sua sorella più grande, maschiaccia e dispettosa, bella come poche.
“Quell’uomo... Ciusani !”
Luigi conosceva quest’uomo. Alcune volte gli aveva anche parlato
Giovanni Paolo V, molti anni dopo, lo avrebbe dichiarato santo, in Piazza S. Pietro a Roma.
Luigi lo aveva conosciuto solo come un uomo buono, che aveva voluto bene alla sua Daniela.

Cosa sarà di questa bambina? Capisce? Non capisce? Perché è nata così? Perché l’hanno abbandonata? Queste domande tormentavano sempre il vecchio taxista.

Una volta aveva trasportato anche il Dottor Lejeune, proprio quello che aveva scoperto come mai nascono i bambini Down. Non gli era sembrato vero. Non gli aveva fatto pagare nemmeno la corsa.  Il dottore aveva insistito. Lui era stato irremovibile.
Che fortuna! Lejeune, proprio Lejeune. Era un uomo buono anche lui. Lui e sua moglie. Come era stato gentile, cordiale il Professor Lejeune. Jerome, ecco Jerome Lejeune.
Luigi aveva capito allora che le persone veramente grandi e buone sono umili e gentili.
Aveva ancora negli occhi come il Professore trattava sua moglie.
Gli aveva chiesto tutto finché il Professore, scherzando, gli aveva detto: “Adesso basta. Ne sa più di me!”.

Il vecchio filosofo lo aiutava moltissimo. Per questo erano amici. Gli era sempre stato vicino, anche quando Luigi era stato molto male.
Per questo lo assillava: “In Paradiso, la mia Daniela sarà come gli altri bambini?”

Poi, un giorno, mentre percorreva la Marecchiese con la sua vecchia Mercedes, aveva incontrato un camion.
Proprio di fronte.
Si era svegliato.
Non era in Ospedale.
Non era mai stato in un posto così. Sgranò gli occhi, se li stropicciò e vide.

I bambini mongoloidi, lo vide proprio con i suoi occhi, in Paradiso, sono proprio come tutti. Con un piccolissimo privilegio: tengono sempre Gesù per mano e vanno sempre con Lui, dovunque Egli vada.

Dalla casetta che gli hanno assegnato, seduto sotto il portico, su una sedia a dondolo, immerso in un bosco con un laghetto alle spalle, uguale uguale a quello che gli era piaciuto tanto quando si era perso in bicicletta nei boschi di Hollis, vicino a Boston, in America, vede ogni tanto passare la sua nipotina con Gesù ed una frotta di bambini sul sentiero di ghiaia. Lei lo saluta con la mano.
Allora a  Luigi viene da piangere; ma non ci riesce, le lacrime non vengono proprio giù.
In Paradiso infatti, come tutti sanno, non si piange più.

Il vecchio professore di filosofia? E’ ancora lì, sulla spiaggia, a farsi le domande sui tacchini. Se sapesse...
Luigi, gli ha già preparato una cameretta nella sua casa nel bosco, vicino al lago.
In Paradiso, per andare al mare è un attimo.

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