Pensieri improvvisi, commenti e racconti. Vita vissuta, incontro fra amici. Contemplazione e sguardo alla realtà. Abbraccio al mondo intero.
martedì, novembre 21, 2023
Mario
mercoledì, novembre 15, 2023
Il finanziere
venerdì, novembre 10, 2023
Tutto per Luciano
martedì, ottobre 31, 2023
La porta di casa
“San Francesco chiamava la morte, la chiamava sorella, perché la morte non è più dove uno si sfracella dentro per sempre; è come la porta di casa. Io me la ricordo la porta di casa mia, è un pezzo che non vado più a casa, me la ricordo tutta nei minimi particolari, di legno con quel vetro. Me la ricordo come fosse qui davanti a me. la porta di casa. Perché? Suonando il campanello mi veniva ad aprire la mia mamma, il mio babbo, i miei fratelli: entravo nella familiarità; la morte è la stessa cosa, è diventata la porta di casa. Perché noi veniamo dal cielo e torniamo nella patria celeste, cioè il Paradiso”.
Una vita non facile, fatta di povertà, dolore, espedienti, lavoretti e tanta dignità.
“Non si può morire così, è meglio il cancro” ripete attonita sua moglie, la Giovanna, che l’ha seguito come la Madonna sul Calvario, ogni giorno. L’ha visto disfarsi, sotto i suoi occhi, urlando per strada, chiedendo la compagnia di Padre Stefano (Bubi), che non si è mai negato, non l’ha mai lasciata sola. “Ma Gesù c’è, è presente e dice: “Giovanna, non piangere”. Bubi le ha detto un giorno: “Rosario, aveva appena imparato che cos’è il paradiso e Dio lo ha chiamato, gli ha detto: “Vieni a casa”.
Perché noi veniamo dal Cielo e torniamo alla patria celeste. Il catechismo ci fa dire: “Che cos’è il Paradiso? Il Paradiso è il godimento eterno di Dio, nostra felicità e in Lui di ogni bene, senza alcun male”.
Coraggio, Giovanna, non sei sola. Non siamo soli”.
lunedì, ottobre 23, 2023
In fondo cosa sono 99 anni?!
E' tutto pronto. Si dispongono i tavoli e le sedie tutt'intorno, nella sala grande con le carrozzine. E' un compleanno di bambini che furono. 99 il Maestro e 90 una signora gentile, che tace sempre, circondata dalle figlie.
Le lacrime si alternano ai sorrisi, i baci alla tristezza e al ricordo. I palloncini ignari si muovono indifferenti, legati al filo che li unisce in lungo corteo di colori
Gli amici cantano le canzoni di una storia comune. Quel "Vecchio scarpone" così caro al Maestro non lo sa cantare nessuno; ma quando s'intona "Mamma" è tutta un'esplosione di voci e di suoni. La base musicale ci richiama la Sanremo di Beniamino Gigli.
E' tutto un crepitio di stupore, di balli, di saluti, di piatti con mille sapori. Chissà chi mangerà tanta roba! Ecco è l'ora dei regali.
La torta rosazzurra in onore del Maestro e della Signora silenziosa conclude la festa. Saluti, abbracci, richiami, promesse, rinnovo di auguri: "Al prossimo anno, a 100!". Un piccolo passo ancora, un semplice giro di valzer e il prossimo ottobre si compirà il Secolo.
Maestro, tenga botta! Ormai ci siamo...
venerdì, ottobre 20, 2023
Fu tutto un caso...o forse no!
Quel giorno il materasso per l'amico infermo non andava bene e non lo comperarono. Erano venuti qui apposta.
Quella sera decisero di andare a salutare la famiglia che conoscevano proprio qui vicino e andarono a mangiare nell'attesa. Un'amica li aveva portati al "Coniglio". Avevano già saldato il conto e dovevano già essere di ritorno casa. Si erano trattenuti un poco a parlare con la famiglia amica.
Quella notte un ragazzo aveva fatto festa con gli amici da suo padre. Era tornato indietro per portare un po' di pizza ai suoi, che non c'era più. Era ripartito in fretta; la sua moto sfrecciava sull'asfalto d'estate.
Una botta, un tonfo.
Quella notte le macchine erano ferme al semaforo rosso. Uscirono alcuni al rumore e videro una massa senza forma nel buio. Andarono incontro con le luci dei cellulari. Fermi! E tutto si fermò.
Due preti si chinarono a dirgli: "Non sei solo, Gesù ti vuole bene". Il cuore batteva ancora, la gamba non c'era più. Gli diedero l'assoluzione e tutto finì.
Un grande dolore e una rinascita quel giorno.
Quel giorno fu tutto un caso o forse doveva accadere così. Fu un miracolo, si disse.
Il tempo passa, il dolore continua. Il dolore di un padre non ha confine.
Conselice è sotto Ravenna, Romagna bassa, ma il vescovo è di Imola. Stasera quel padre, il fratello e un amico sono andati a trovare quei preti "del caso", che non dovevano trovarsi lì, quella notte, a quell'ora eppure c'erano, accogliendo per conto di Gesù quel figlio che correva.
Il Covid ha colpito duro anche qui: li aveva tutti chiusi in se stessi. L'alluvione ha schiantato questa gente, ma sono rinati solidali, aiutandosi.
Hanno mangiato insieme, si sono raccontati. Cosa è successo fra loro nessuno lo sa tranne loro. E' gente-gente.
L'amico ha dormito all'andata e al ritorno: è stanco, come ogni prete che si rispetti. Il fratello guida. Quel padre ripete: "Stasera vengo a casa rafforzato".
mercoledì, luglio 19, 2023
Ricordi condivisi
Oltre la gioia c’è la possibilità che in questo modo i miei ricordi infantili siano più precisi, confermati o corretti, diciamo “condivisi”. Come due innamorati vedono le stesse cose del loro rapporto, ma da punti di vista diversi, complementari e arricchenti, così tante cose possono riprendere il loro posto.
I ricordi dei bambini, come tutti sanno, sono vividi e fantasiosi al tempo stesso, portano tutto lo stupore della sorpresa di fronte alla realtà; ma spesso non la colgono per intero, sfugge loro “l’intero”.
I vecchi, si sa anche questo, non ricordano più il passato prossimo, ma il passato remoto è per loro un presente chiarissimo e spesso si rifugiano lì, non tanto per fare un bilancio della vita, quanto per riscoprirne tutta la freschezza, lo stupore delle origini.
Bene.
Ricordo bene la mia passione per il Circo e una “ballerina” (oggi la chiamerei trapezista) con gambe bellissime che camminava su un filo al suono di una musica affascinante ed ero in compagnia di una ragazza grande (per me), la Mimma… ma mia mamma dice che non è vero, il Circo non è mai venuto a Sarsina…a Corpolò sì però potrebbe… Stefano, però, il mio fratello nato a Dicembre due anni dopo ricorda un Circo e un leone spelacchiato e triste, che aveva montato il tendone nel campo dove mettevano le giostre per la festa di San Vicinio. Ora quel campo sportivo, che confinava con il muro di sostegno di via Linea Gotica, è stato trasformato in parcheggio coperto. Il circo è venuto a Sarsina…
A proposito di giostre, mia mamma, molto parca nei racconti e nelle confidenze, mi disse che un giorno tornai a casa con una novità: “Vado via con le giostre - le dissi – C’è una bambina bellissima, mora, coi capelli lunghi”. Ero molto precoce, ma la bambina delle giostre mi è rimasta nel cuore per molti e molti anni e un giorno in Ospedale mi fu assegnata in terapia la Regina degli Zingari, una donna di circa 70 anni bellissima ancora e disprezzata dalle infermiere per la sua etnia… La ebbi molto cara, in virtù del ricordo della morettina che mi aveva affascinato da piccolo.
Un giorno glielo confessai e lei di rimando: “Di dove sei? Quanti anni hai?”
“Di Sarsina. Sono del ‘49”
“È mia nipote, la figlia di mio fratello!”
Il giorno dopo avevo il turno pomeridiano. Mi vennero incontro le infermiere della Medicina: “Dov’eri? Dove sei stato? Ci ha intontito, voleva che ti trovassimo ad ogni costo; stamattina è venuta la sua nipote a trovarla…”
Accipicchia! L’avrei riconosciuta fra mille, ne sono sicuro.
La Signora Lanza, la Pierina, come voleva che la chiamassi, fu dimessa e tornò alla sua roulotte. Aveva bisogno di cure in un Centro di Riabilitazione, ma non volle. Andai a trovarla nel campo che è ancora della famiglia, vicino al semaforo appena dopo la Fornace Marchesini, prima di Cerasolo, sulla Superstrada per San Marino, a sinistra, prima della salita che va in collina e scende poi a S. Maria in Cerreto.
Mi accolse come un principe e diventai amico della famiglia, d Claudio in particolare, il primogenito. Ancora vado a vedere se c’è qualcuno, ma ci sono i giovani, i nipoti della Pierina e non si ricordano più.
Anni dopo, dal Carlino, venni a sapere che era morta dalle parti di Reggio ed erano venuti tutti i giostrai, perfino dall’Europa qualcuno.
La Pierina…
Ricordo benissimo il primo regalo ricevuto, un trenino fatto con la mota (fango) dal figlio di Xentano, l’autista della SITA. Era più grande di me di qualche anno. Prese del fango, ne fece un mattoncino e sopra ce ne mise un altro po’ a forma di cilindretto, il camino…perché a quel tempo gran parte dei treni andavano a carbone. Me ne tornai a casa, in piazza, la prima casa in cui abitammo a Sarsina dove vivevano due sorelle “antiche” (non sposate): la Livia e la Celeste, già avanti con gli anni. La mostrai a mia mamma, con le braccia tese, come si offre una corona, uno scrigno prezioso. Il mio amore per i treni nacque così. Forse era il 1953.
Dormivo nella camera in fondo al corridoio a destra; a sinistra c’era la sala. Avevo paura del buio e del lupo, mentre mio fratello Stefano comperava a 10 lire dal mio amico Giovanni, il futuro barbiere, un piombo per chiudere i pacchi: con quello si potevano tagliare le foglie…delle piante della mamma, che io amavo (piante e mamma). La Celeste e la Livia, se potessi rivederle oggi, le riconoscerei senza dubbio: erano simpatiche e aiutavano la mamma in casa.
Il bagno era fuori, su un terrazzino, di fianco alla cucina, grande, dove la mamma setacciava la farina, stirava i panni col ferro da stiro con dentro la brace e la sera diceva il Rosario col babbo e giocavano a carte, mentre io tenevo quelle giocate.
Al piano di sotto abitava la Signora Cinci, bella e giovanissima, col marito, il Maestro Neri molto severo e all’antica con la figlia Elisabetta…e qui potrei scrivere un romanzo intero, perché anche se non si può dire che ne fossi innamorato, è stata la presenza femminile più viva nel cuore e nella memoria.
“Facevamo i bambini insieme”: è un’espressione così pregnante nei nostri modi di dire che appena appena si può comprendere e forse nemmeno al di fuori della Romagna. Fa ridere; ma è vera: è la prima esperienza sponsale infantile. Condividevamo tutta la vita, birichinate comprese. Crescevamo insieme, quasi come due sposi, perché uno è parte dell’altro, confidenze, sentimenti, pensieri, giochi, dolori, preoccupazioni, scoperte. È la prima scoperta dell’altro, dell’altra persona, dell'altro sentire, ragionare, vivere. Noi in fondo eravamo già sposati senza esserlo. Trecce. La mia passione per le donne con le trecce è nata lì. L’Elisabetta portava le trecce. Comandava lei, come tutte le donne.
Nell’orto di dietro, che faceva parte della casa, c’era, entrando con tre scalini, sulla destra una casetta e una scala esterna. Ce n’è una simile a Rimini vicino al Palacongressi. Un piano terra e un primo piano. Salivamo sulla scala dove abitava un uomo, vecchio per noi, da solo, un orologiaio che ci voleva tanto bene. Non lo disturbavamo mai e ci accoglieva sempre volentieri. Lì ho imparato ad amare gli orologi, quelli meccanici, di allora, non c’erano i transistor e le pile a celle solari.
Quando fu ora di andare a scuola ci separarono. Avevamo la stessa età; ma io feci la “primina”. Dicevano che ero un genio: avevo imparato a leggere da solo, senza che nessuno me lo insegnasse, si stupivano della mia intelligenza precoce…l’Elisabetta era intelligente come me, se non di più; ma le cose erano così: io a scuola e lei a casa. La scuola era davvero bella. Mi piaceva un sacco e poi non l’avevo mica perduta: l’Elisabetta abitava sempre al piano di sotto e giocavamo sempre insieme.
A quel tempo, nel mio paese, le classi erano divise: classi maschili e classi femminili; ma l’Elisabetta era mia amica sempre, anche se era “più piccola” e non potevamo fare i compiti insieme.
È stato così fino a quando, nell’anno scolastico 1965-66, ci siamo ritrovati insieme in Prima Liceo al Classico Giulio Cesare di Rimini, grazie alla mia bocciatura, ottenuta orgogliosamente sul campo!
Grazie all’Elisabetta, a sua insaputa, ho incontrato poi l’amore della mia vita.
Dopo la Maturità non l’ho più vista e sua mamma, la Signora Cinci, mi teneva informato fino al giorno in cui Elisabetta ci lasciò per un tumore al seno.
Sulla gioia che ci procurava il bagno nel fiume mentre la Mimma lavava i panni insieme ad altre ragazze ho già scritto; ma vale la pena dire da dove si prendeva il sentiero che scendeva lungo il fianco dell’altipiano su cui sorge Sarsina che fiancheggia la strada verso S. Agata Feltria. Il sentiero era stretto, scosceso e scendeva fino al fiume, il Savio. Col costume da bagno che ho sempre amato, due triangoli di stoffa verde legato ai fianchi coi dei laccetti, che oggi si trova ancora come parte inferiore di alcuni bikini per donne, ma è raro, sguazzavamo nell’acqua bassa, attenti a non andare nei punti più pericolosi dove i gorghi potevano inghiottire anche adulti esperti. Noi stavamo lì, a giocare e godere del canto di quelle ragazze. Poi tornavamo in su, la Mimma col mucchio dei panni lavati. Il Comune anni dopo costruì poi un lavatoio dove cominciava il sentiero.
Nel cortile dietro la casa c’era una vasca di pietra dove si lavavano i panni. Fra gli altri una volta vidi che lavavano degli straccetti. La mia curiosità era grande, ma mi fu risposto che erano cose per le donne. Negli anni a venire seppi che si usavano al posto di quelli che, chiamati assorbenti igienici, oggi sono venduti in ogni supermercato; ma ai bambini certe cose dovevano restare nascoste. La bellissima canzone “La pansé” di Renato Carosone, che mio babbo ci cantava spesso e volentieri ascoltavamo, fu oggetto di un richiamo deciso a mio babbo da parte del nonno: “Ai bambini non sta bene cantare queste cose!”
Mio babbo aveva una bella voce e anche noi…ma il nonno ebbe la meglio.
Solo da grande ho scoperto il perché di quel divieto, ma la canzone era molto di moda a quegli anni…
Il treno, la mia passione fu la causa della mia “espulsione” dalla casa del nonno.
Ero in vacanza al mare e mi piaceva andare al vicino passaggio a livello di Via Pascoli, quasi sempre con le sbarre abbassate, per aiutare la gente ad attraversare passando sotto di esse. Io lo chiamavo “il servizio”. Stavo ore ad aspettare il passaggio dei treni e non staccavo dalla ferrovia.
Una volta mi scappava la pipì, ma, essendo ben educato e di buona famiglia mi vergognavo a farla lì, all’aperto, sotto gli occhi di tutti. La trattenni a lungo finché non ce la feci più e inondai i pantaloncini corti che portavo. E adesso? Sgridate e non finire mi immaginavo. Decisi di tornare a casa e nascondermi sul terrazzo del piano di sopra, dove c’era solo la cameretta dell’Adriana, la ragazza che aiutava in casa la zia Augusta. Non vi dico quanto si spaventarono non vedendomi arrivare a casa all’ora di pranzo e si misero a cercarmi, aiutati anche dai vicini. Mezzogiorno, le due, le tre e io zitto e buono. La fame era tanta e non ne potei più. Mi affacciai alla ringhiera e uno mi vide. Gli feci segno di stare zitto; ma lui urlò: “È lassù, sul terrazzo!” Traditore! MI vennero a prendere e le sgridate furono più numerose di quelle che speravo di evitare nascondendomi. Risultato? Mio zio mi prese e mi riportò a Sarsina col suo motore. Mi rivedo ancora a Cesena, nella curva prima di arrivare al Ponte Vecchio, abbracciato alla vita dello zio Gigio. Fine della vacanza, addio treno e… fortuna che il babbo ha sempre avuto un cuore grande.
Ho imparato lì che non vale la pena nascondersi e nascondere qualsiasi malefatta. Ci si perde sempre di più!
C’è una cosa che vorrei chiedere alla Mimma.
Lei aiutava mio babbo in farmacia ed era con lui quando nel 1957 scoppiò la terribile influenza detta “Asiatica”. Di che cosa erano composte le “cartine” che preparavano?
Non c’erano vaccini, non si sapeva come fare… La Mimma e il babbo stavano in Farmacia anche con la febbre alta: in qualche modo bisognava aiutare la gente che stava male.
Scampammo la morte quella volta. I bambini ce la fanno sempre con le pandemie, gli anziani e le donne incinte invece no. Solo in Italia le vittime furono 70.000; nel mondo qualche milione…
(Continua)
sabato, giugno 24, 2023
La tata ritrovata
Chi manderebbe oggi, ai nostri tempi, una bambina di 8 anni a lavorare, a dare una mano come “pratica” (si diceva così allora) in una farmacia?
Di là dalla strada, oltre la ferrovia del trenino che portava lo zolfo della Montecatini fino al mare e riportava su persone, unendo quella valle così povera e bellissima, che dopo la Guerra stava ripartendo, una piccola farmacia iniziava i propri passi.
Intuizione geniale di un giovane laureato che aveva sposato una ragazza del luogo, orfana di entrambi i genitori, qualche anno dopo la prima disastrosa guerra cui era seguita un’epidemia che si ricorda ancora, la terribile “spagnola”.
Gli uomini sono così, ripartono sempre, non stanno mai buoni, nel bene e nel male, li spinge una speranza inspiegabile, sempre tesi fra la distruzione e la ricostruzione.
Che strana bestiolina c’è al mondo!
8 anni ed una voglia di vivere e di fare impressionante, un’intelligenza viva, aperta, determinata.
Tutto scorreva limpido, piano, quotidiano. C’era ancora chi faceva la fame e chi stava bene. Il dottore era uno di questi ultimi; la moglie bellissima, gli amici, i viaggi e le vacanze, le avventure, la casa e perfino la Topolino. “L’Angelina è andata a stare bene” si diceva. L’Angelina era la moglie del dottore e, dopo un anno di matrimonio, diciamo dopo poco più di nove mesi, era nato anche l’erede, cui tutti facevano le meraviglie. Capita: i bambini sono belli dappertutto…e ci vogliono, guai alla casa senza bambini! E dopo poco, zac…il cadetto! Nel caso più triste, la stirpe può sempre continuare e il nome passare alla nuova generazione.
“Non vi bastavo io?!” commentò allora il “princeps” benché di soli 2 anni e mezzo…
Il cadetto rischiò di brutto e solo un medico tedesco, amico del nonno, medico anch’egli, suggerì una cura sperimentale che ebbe successo: prelievo del sangue materno e inoculazione dello stesso nel figlio per via intramuscolare. Il cadetto guarì.
Mimma faceva tutto, farmacia, casa e bambini.
Come una signorina, come una sorella maggiore, una mamma.
La Mimma li seguì. In fondo era anche la sua famiglia, perché a quei tempi, il lavoro comprendeva l’affezione. Dava da vivere, ma era anche un rapporto, un compito, un affetto e una dedizione.
Il “principe” ne era perdutamente innamorato: era anche il più grande dei due e ne capiva di più, per forza naturale. Il dottore non ne poteva più fare a meno in farmacia: essendo lei intelligente e vivace, sostituiva quasi una dottoressa.
Era una “farmacista” venuta su a bottega, anche senza studi e senza esami.
Era una donna di casa attenta e premurosa, essendo la signora del dottore una donna energica e un po’ dura. Era una babysitter di valore perché amava, ricambiata, i due marmocchi.
“Dottore, vorrei andare un po’ di tempo a casa mia” Non c’erano ferie pagate allora.
E i bambini volevano seguirla. 70 chilometri per chi non ha mezzi erano una bella impresa.
Un’ora e mezzo di curve in corriera (autobus per i bambini di oggi), il treno da Cesena a Rimini e la corriera (autobus) fino al paese natio non sono una sciocchezza…a 15 anni con due bambini piccoli dietro…
Chi li manderebbe oggi? Eppure…
La casa era piccola e le ristrettezze grandi. Mimma e i due bambini dormivano insieme sul materasso di foglie di granturco; ma com’erano felici!
Felici. La Mimma era la felicità.
La Mimma era il punto fermo, il cardine di quei bambini, la sorella più grande, la mamma, l’amica, la “morosa”.
Li portava a passeggio, li vestiva, comperava loro i vestiti e le scarpe, preparava da mangiare, li seguiva in vacanza dal nonno, al mare. Li amava.
Erano i tempi in cui si andava ancora al fiume per fare il bucato. A piedi, lungo il sentiero scosceso, oltre la siepe fino al greto sassoso. Le ragazze lavavano e cantavano, i bambini giocavano nell’acqua bassa e facevano il bagno.
La felicità è una cosa semplice: le cose normali e un affetto infinito, segno di infinito.
La vita in un po’ d’acqua e nel canto delle ragazze, la risalita come anatroccoli dietro una ragazza che ti ama coi panni umidi sottobraccio e il ritorno a casa.
E tre, adesso sono tre…e la casa, la farmacia e la signora che sta male…
La Mimma è di pura razza romagnola: non ha paura di niente…
“Dove sono finiti quei bambini?”
La morte di un fratello, di una sorella e l’altra che sta male.
Le rondini tornano sempre al loro nido.
“Francesco, sono la Mimma”.
La Maddalena deve aver provato lo stesso stupore davanti a Gesù risorto. Credeva di averlo perso per sempre (quando uno muore è finito, si pensa).
“Mimma!” “Sono sempre stato geloso di quel carabiniere che ti ha portato via”
“No, non è stato lui”
La tata è ritrovata!
La Mimma ci aspetta sulle scale. La prima è la Rosaria. Francesco è quello più desiderato: era il più grande. Il cadetto è in America, il dottore che ha sostituito il dottore. Ma qui nessuno ha titoli accademici. Solo l’affetto.
Sulla porta il Carabiniere incolpevole che non l’ha portata via, il marito, giovanissimo, 91enne, lucido, accogliente, cordiale. Massimo, il marito della Rosy, ci ha accompagnato rinunciando agli impegni. Il pranzo, la tavola apparecchiata di tutto punto con due bicchieri, uno per l’acqua e il calice per il vino, la tovaglia bella, il sugo coi piselli e le tagliatelle buone che mai, la carne, le erbe, le parole, la casa semplice e pulita, la figlia molto bella che lavora in ospedale e abita al quarto piano sopra di loro.
Gli abbracci, gli sguardi, le tante parole, l’affetto.
La Tata è stata ritrovata!
Siano rese grazie a Dio.
Tutto si ricompone
lunedì, aprile 03, 2023
La pagnotta di Pasqua
La tramontana alza le onde del mare, che bianche di schiuma, s'infrangono rumorose sulla spiaggia. Vicina passa la ferrovia e corrono i treni per chissadove. Due ville abbandonate visitate solo da edere rampicanti e finestre murate con qualche palazzina abitata e vecchi hotel in dissoluzione sono le vicine della "Struttura", che pure si trova a due passi dal mare dove ferve la vita estiva e passeggiano le ragazze incantevoli di altri lidi.
Il sole brilla su tutto, ma il vento consiglia di stare dentro. Per oggi.
Cosa mai potrà fare un maestro abruzzese di 98 anni? Come lo troveremo? Ci riconoscerà?
Per tutta la durata della visita la signora chiederà a gran voce la sua fetta di pagnotta.
Baldanzoso e bene eretto, un po' dimagrito, ma sempre curioso nello sguardo, il Maestro sta camminando fra le parallele secondo il compito assegnatogli dal fisioterapista.
Si volta, ci guarda e sorride.
"Maestro!" Due lacrime commosse corrono accennate dagli occhi lungo il naso.
Giampiero si toglie il cappello. Un maestro è sempre il Maestro.
Poco dopo giungono due amici riminesi, Eraldo e Ido ed ecco la compagnia è completa: con le doverose mascherine si aggiungono Fabrizio e Tobia, recando la pagnotta.
Quanto tempo è passato
Quanti ricordi fai rivivere tu
Quante canzoni sul tuo passo ho cantato
Che non scordo più
Lassù fra le bianche cime
Di nevi eterne immacolate al sol
Cogliemmo le stelle alpine
Per farne dono ad un lontano amor
Cantiamo, ridiamo, sorridiamo, c’interroga e cita in Latino, ci sollecita, ci urge “Tu eri il più bravo e tu il birichino… ricordo tuo padre… e la bidella? Chi la ricorda? Cosa fai? E tu, dove sei?...
Corre veloce il tempo, non sembra vero. Eravamo bambini ed ora...
Il Maestro è sempre lì, sembra rinato. Vediamo un “vecchio”, ma è sempre lui. Ci tratta così, da figli, rispettosamente da figli, cordialmente, fermamente da figli.
Ci sentiamo ancora piccoli, bisognosi di chi adesso ha più bisogno di noi. Noi camminiamo, lui in carrozzina. Lui la mente lucida con qualche piccola mancanza, noi uomini maturi che possiamo ancora guidare un’auto. Uomini.
I due amici riminesi, vengono ogni settimana a trovarlo e insieme leggono i Promessi Sposi. Gli fanno compagnia costante: sono di una stessa fraternità. È bello essere cristiani.
Corre il tempo, passano le ore e nemmeno ci accorgiamo. Siamo contenti di stare insieme. \“Arrivederci, Maestro, alla prossima volta, che non sarà l’ultima” dice Tobia, quando ormai è ora di pranzo. Il Maestro sorride e alza l’indice verso l’alto: a Lui. Lui sa e vuole. Lui, che ci ama, decide.
Fuori il sole è più caldo e la tramontana sembra aver abbandonato la sua forza. Un piccolo aperitivo, un saluto cordiale, un invito e un arrivederci a Sarsina, al paese e al luogo che ha visto nascere, poco dopo la Guerra, un’amicizia e un rispetto oggi ai più sconosciuto, quando bambini pendevamo dalle labbra e dal cuore di questo giovane Maestro abruzzese che ci introduceva alla vita con sua moglie maestra e divenimmo parte della sua famiglia da allora, misteriosamente, per sempre.