“San
Francesco chiamava la morte, la chiamava sorella, perché la morte non è più
dove uno si sfracella dentro per sempre; è come la porta di casa. Io me la
ricordo la porta di casa mia, è un pezzo che non vado più a casa, me la ricordo
tutta nei minimi particolari, di legno con quel vetro. Me la ricordo come fosse
qui davanti a me. la porta di casa. Perché? Suonando il campanello mi veniva ad
aprire la mia mamma, il mio babbo, i miei fratelli: entravo nella familiarità;
la morte è la stessa cosa, è diventata la porta di casa. Perché noi veniamo dal
cielo e torniamo nella patria celeste, cioè il Paradiso”.
Rosario
ha fatto in tempo a compiere 50 anni, appena in tempo, in un letto d’ospedale,
in un lago di sudore e 42 di febbre. 11 giorni di agonia, sperando, combattendo
contro la leucemia e facendo una morte orribile, come se qualcosa svuotasse il
suo corpo da dentro, riducendo il suo corpo a ossa, lui che era un bell’uomo,
giovane, orgoglioso dei suoi figli e della sua donna che amava, riamato.
Una
vita non facile, fatta di povertà, dolore, espedienti, lavoretti e tanta
dignità.
“Io
combatto, non mi arrendo. Anche oggi tante sacche di sangue, ma non
sanno cosa fare” aveva detto a un amico dall’ospedale
Bubi
lo aveva presentato al “Signor Stefano”, un amico, un piccolo imprenditore
alcuni anni fa, per aiutare lui e la famiglia in difficoltà. La possibilità di
un lavoro, qualcosa. Sette anni fa. Aveva cominciato qualche volta, a chiamata.
Via via era cresciuta la stima e l’amicizia, la gratitudine e l’impegno.
Rosario aveva ritrovato dignità. A volte saltava il lavoro, a volte non si
presentava e il “Signor Stefano”, paziente, con un grande cuore e lo sguardo
acuto gli aveva dato responsabilità. Rosario era rinato, ricambiando la
fiducia, mostrando ai figli tutte le cose belle che riusciva a fare con gli
altri colleghi, nelle fiere e andava imparando con passione il nome delle
piante che sistemava con cura negli stand.
Nemmeno
il “Signor Stefano” conosceva tutte le persone che Rosario conosceva, dalle
bariste del bar in cui prendeva il caffè a tutti quelli che girano intorno a
una Fiera. Si alzava puntuale, viaggiava in tutta Italia, mandava foto ai suoi
figli: i piatti buoni che gustava, le macchine belle che aveva visto esposte, i
lavori che faceva coi suoi compagni. Era rinato, contento. Nemmeno i suoi
genitori erano riusciti a dargli quello che ora aveva. Nessuno lo aveva mai
valorizzato così.
Il
Signor Stefano, infine, contento e grato, gli aveva firmato il contratto a
tempo indeterminato. La sicurezza economica dopo tanto penare, un’amicizia
piena di rispetto e di affetto.
Adesso…
la terribile malattia lo aveva ghermito, quasi a vendicarsi di tanto onore e di
tanta felicità.
“Non
si può morire così, è meglio il cancro” ripete attonita sua moglie, la
Giovanna, che l’ha seguito come la Madonna sul Calvario, ogni giorno. L’ha
visto disfarsi, sotto i suoi occhi, urlando per strada, chiedendo la compagnia
di Padre Stefano (Bubi), che non si è mai negato, non l’ha mai lasciata sola.
“Ma Gesù c’è, è presente e dice: “Giovanna, non piangere”. Bubi le ha detto un
giorno: “Rosario, aveva appena imparato che cos’è il paradiso e Dio lo ha
chiamato, gli ha detto: “Vieni a casa”.
Stamattina
siamo qui: quanta gente! Figli, fratelli, parenti, amici, colleghi e il Signor
Stefano. La Giovanna è in piedi tutta la Messa vicino a lui nella bara e ogni
tanto si piega su di essa piangendo e poggiando il capo ai piedi di lui. Il
fratello grande di Rosario le sta vicino in piedi.
Rosario
era di Napoli. Sua figlia piccola, “più romagnola che napoletana” come la
nominava scherzosamente, legge una lettera al papà indimenticabile. Il pianto
si scioglie in un abbraccio. La sorella grande ricorda fra le lacrime la
promessa fatta a Rosario sul letto di morte: aiuterò i miei fratelli costi quel
che costi.
“È
un saluto, un addio, A Dio, quindi coraggio, Giovanna, non sei sola. Coraggio!
Perché
noi veniamo dal Cielo e torniamo alla patria celeste. Il catechismo ci fa dire:
“Che cos’è il Paradiso? Il Paradiso è il godimento eterno di Dio, nostra
felicità e in Lui di ogni bene, senza alcun male”.
Coraggio,
Giovanna, non sei sola. Non siamo soli”.
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