Lo strano inaspettato viaggio a Hong Kong e Taipei
Hong Kong, 9.12.1998
Al di sopra dell’Himalaja, in un posto
dove non può vivere nessuno, tanto è bianco e freddo, ho parlato con la prima
persona cinese, un bambino, di nome Chess Ti: così suonava alle mie orecchie la
parola che mi diceva. Ma non sono ben sicuro di avere capito: scuoteva la testa
di continuo e ripeteva.
La prima cosa che mi ha colpito anche
all’aeroporto di Hong Kong è stata l’assoluta incomprensione da parte mia dei
suoni che uscivano dagli altoparlanti, oltre alla grandiosità, ed in qualche
modo la bellezza di questo nuovo aeroporto.
La seconda cosa che mi ha spiazzato è
stato il costo della camera al Caritas Bianchi Lodge per dormire più (offerta)
prima colazione. “Vedi a non conoscere l’Inglese?” mi sono detto. Beh, stanco
morto, fuso dal fuso, suonato come una campana, ho dovuto scucire
anticipatamente per una settimana 2660 dollari di Hong Kong, che ad un cambio
da amico di 7,80/1 dollaro americano fa la bellezza di lire italiane 572.000
pari a 82.000 circa per notte.
Per me, che non sono abituato a
viaggiare, è stata una bella sorpresa!
Così una buona fetta del mio budget si
è involata.
Mi sono subito tornate alla mente le
parole di Bruno: ”Apri bene il cuore e gli occhi”!
Padre Francis è molto cordiale. E’
venuto a prendermi all’aeroporto, poi con l’autobus siamo venuti a Kowloon, la
parte continentale di Hong Kong, in pieno quartiere cinese, dove è la sua
parrocchia. Sono Salesiani. C’è anche una scuola tecnica.
Sono riuscito anche a partecipare alla
Messa. Ieri era la solennità dell’Immacolata. Io mi sono messo sotto la
protezione della Madonna ed è stato per me commovente aver potuto festeggiare
in Cina questa festa.
Non ho capito niente, tranne “Alleluia”
e “Maria”; ma che la nostra fede vada bene anche in Cina mi ha confortato
molto. L’8 Dicembre qui è giorno feriale. La gente lavora, perciò la Messa è
stata detta la sera.
Poi c’è stata una piccola festa, a base
di cibo cinese: molto buono. Ho provato ad usare i bastoncini: gliel’ho fatta
una volta. Poi mi hanno offerto una forchetta. Involtini Primavera e vari
impasti di riso. “Tortellini” di carne e riso, dolci salati e tè. E’ tutto un
altro mondo. Però ci sanno fare.
Una signora si è presentata: Cecilia
Lee. Un’altra mi ha chiesto la differenza fra i massaggi cinesi e quelli
occidentali. La sensazione di trovarsi in un posto in cui per provare a capirci
qualcosa puoi fidarti solo dei tuoi occhi perché i suoni che ti raggiungono
sono tutt’al più una strana musica è un po’ disarmante.
Anche le parole scritte sono strani
disegnini e le facce non tradiscono le emozioni che già conosco.
Sono in mare aperto e senza neppure una
barchetta. Aggrappato ad una tavola provo a tornare a riva.
Fra venti giorni saprò se sarò
sopravvissuto o se questo diario sarà letto ad memoriam.
Il jet lag ha colpito ancora. Spero di
riprendermi prima di affogare.
Ad onta del mio spiritualismo la realtà è molto concreta. Dio salvi la Regina. O meglio: Dio salvi Cecco!
P.S. Se non altro ho avuto la
consolazione di vedere dei telefoni a gettone digitali con schermi a cristalli
liquidi. Roba che in Italia neppure ce li sogniamo. Ed ho scoperto che la
telecamera digitale SONY che tanto piace al Dott. Ricci costa 2.100.000 lire e
non 3.000.000 e passa come nel nostro Bel Paese!!!
Stanotte ho sognato don Giancarlo che era venuto ad Hong Kong con alcuni nostri amici e mi chiedeva: “Perché non sei venuto con noi?”.
My first time I walk alone in the
streets of HK. It’s not so difficult.
Ho imparato, a colazione, l’ideogramma
di “fritto”: era l’unico che ricorreva costante nel menù. Non ho avuto il
coraggio di fare la colazione orientale; ma ho visto come si fa. Noodle, cioè
spaghetti scuri da prendere su con i bastoncini ed una tazza di liquido bianco
(latte?) da prendere con un cucchiaio di porcellana tipico ed una strana
bevanda scura (tè?).
Prima o poi ci provo.
C’è un chiasso terribile nelle strade e
l’aria si respira, ma un po’ a fatica.
Delle ragazzine carine, tutte in divisa
grigia, passano per la strada. Tutti gli studenti e le studentesse, qui, vanno
a scuola in divisa. E’ molto bello ed ordinato.
Armature di bambù sostituiscono i
nostri Tubi Innocenti. Sono molto belle, leggere e tenaci. Sono legate con
strisce di plastica. In poco tempo possono essere messe su e smontate.
Il palazzo della Municipalità di
Kowloon è molto bello e tutta l’area circostante che guarda in faccia l’isola
di Hong Kong è moderna. Sono rimasto affascinato dall’Auditorium. Non si poteva
visitare il Teatro vero e proprio, ma il foyer è imponente ed architettonicamente
molto elegante. Sono rimasto emozionato. Vorrei tanto assistere ad un concerto.
Come tutti i miei desideri andrà deluso, come in America.
Lì dentro, finalmente, un po’ di
silenzio.
La città è rumorosissima e tutti vanno
di corsa, anche le donne anziane col bastone, accompagnate dalle nipoti.
Il parco davanti all’ex Museo della
Storia di Hong Kong è splendido. All’occidentale, tipicamente inglese, è
un’oasi verde e silenziosa nella città. (Nota postuma: in realtà, come scoprirò
poi, è uno stupendo giardino tipicamente cinese). Fontane, scalinatelle,
giardini. Il Museo è chiuso. Non è più necessario ora. Al Museo delle Arti, in
compenso, una mostra spiega come dalla Cina per tutto il mondo si è diffusa
l’arte dell’astronomia, della fabbricazione della carta, della stampa, della
bussola, della polvere da sparo, dell’agricoltura, della tessitura, della
ceramica, della metallurgia, delle macchine idrauliche ecc. “Heavenly
Creations” si chiama.
Con una bellissima vista sul centro di
Hong Kong, la mostra sui reperti egiziani del British Museum di Londra è
assolutamente da visitare. Peccato che Padre Francis abbia fretta!
Una sezione speciale, in forma di
gioco, fa ripercorrere ai ragazzi quello che si vede nella mostra. Mi è venuta
in mente la Nadia. Avrei voluto tanto averla vicina. Se riesco a tornare alla
Mostra voglio proprio portarle qualcosa. Anche se non si occupa più delle
mostre al Meeting, la sua esperienza e la sua sensibilità avrebbero certo da
dire qualcosa. E’ la prima persona cui ho pensato con nostalgia.
1.600.000 bambini e ragazzi danno un
tono inconfondibile ad Hong Kong. Finalmente li si vede!! Su sette milioni di
abitanti si fanno notare. Come in Palestina. Solo che qui sono tutti belli,
ordinati, all’inglese come i giardini. E sono belli, molto belli. Ed hanno uno
sguardo malandrino come quelli napoletani.
Hanno gli occhi a mandorla e parlano
sempre forte. Solo le ragazzine sono compunte e scrivono. Si danno da dire,
come le italiane. Però non si capisce niente. Ed anche se ci provi devi arrenderti.
Come con i bastoncini per mangiare. Devi scegliere se mangiare o imparare ad
usarli. E’ bene imparare: è un’arte. Tutto qui è un’arte. Una però sopravanza
tutte le altre oggi: commerciare.
E’ pieno di banche e negozi. Il Natale tarda ad arrivare perché il porto è secondo per smercio solo ad Amsterdam; ma anche qui la crisi mondiale si fa sentire e molti hanno perso il lavoro e le fabbriche si stanno spostando nella Cina continentale: è più conveniente. Così la bellissima Hong Kong si sta riassestando.
Un grattacielo rosa e azzurro in acciaio e specchio si staglia stupendo su Kowloon e tre tunnel sottomarini uniscono la terraferma all’isola di Hong Kong, che si potrebbe raggiungere anche a nuoto, tanto è vicina; mentre la stazione ferroviaria che unisce alla Cina continentale ricorda che finalmente Hong Kong è ritornata alla madre patria, dopo 100 anni.
Da 90 anni la parrocchia del S. Rosario testimonia in questa fetta di terra la presenza stessa di Gesù Cristo. Ho conosciuto l’attuale parroco don Francesco Lau. Tutti qui si chiamano Francesco: era proprio destino che ci arrivassi. Come tanti altri mi ha detto che sono un lucky man. Per essere cristiano certamente. Sono stanco, sono fuso dal fuso. Ma sono contento. Sono un po’ stranito, non riesco a capacitarmi di tante cose e faccio fatica a fidarmi. Non riesco a capire perché.
Padre Francesco Pezzola, bresciano di
Hong Kong dal lontano ’39 mi ricorda per assonanza Elena. Vorrei vedere la sua
faccia quando saprà che sono venuto fin qua. Sopporterà pazientemente anche
questa!
Domani andrò con questo Padre
sull’isola di Hong Kong.
Fosse per me, vorrei dormire un mese intero. Aiuto!
13.12.1998
Arrivo a sera sempre stanco. Queste
noterelle dovrei scriverle sempre di mattina, come a Hollis. Sono tante e tali
le cose da raccontare. Basta, vado a letto. Non ne posso più.
Oggi ho imparato ad usare il telefono
con la Smart Card a microchip. E’ facile. Ho telefonato a Taipei, a Isabella e
stasera ho fatto gli auguri a Lucia in Italia. A S. Ermete non ha risposto
nessuno.
Di continuo, girando per strada vedo
facce che mi ricordano amici italiani. Avrò visto almeno 20 Sabitri, 1 Adriana,
4 Daniela, 7-8 Francesca.
Finalmente qualcuno che trova il
coraggio di dire una cosa per me evidentissima. Glauco, il fratello di Hermes,
mi ha fatto notare: “Guarda come sono belli i bambini cinesi!”. Io non sono un
pedofilo e neppure lui lo è. I bambini cinesi sono bellissimi,
inconfutabilmente. Maschi e femmine fino a 12-13 anni sono stupendi. “Anche le
donne cinesi”. Lui da buon architetto mi ha fatto notare che ce ne sono sì
alcune fantastiche, ma nella gran parte comunque sono sproporzionate: per lui è
una questione di gambe corte, per me, forse, è una questione di alimentazione e
di modus vivendi. Ci siamo trovati concordi sul fatto che non hanno l’allure
delle africane.
L’altro giorno sul tram a Central (ex
Victoria) era seduta vicino a me una filippina eccezionale, bella, fine,
semplice e maliarda. Una delle 140.000 filippine che vivono a Hong Kong, in
genere come donne di casa e come “dade”, vale a dire accudiscono ai bambini.
Oggi all’imbarcadero del traghetto fra Hong Kong e Kowloon era pieno di
filippine, che si ritrovano la domenica fra compaesane. E’ un cicaleccio
indescrivibile, tutte voci femminili che si rincorrono, s’intrecciano, si
confondono, si ricompongono.
Anche il traffico in quella zona viene
fermato. C’è chi legge ad alta voce una lettera, chi vende giornali filippini;
molte di loro, sedute sulla strada si scambiano notizie. Quali? Non capisco il
cinese, figurasi il tagalog.
Padre Francesco Pezzola è una miniera
ricca e profonda di informazioni, chiarimenti, osservazioni e suggerimenti. Lui
si considera cinese; ma è un ottimo interprete della cultura occidentale.
Unisce in sé le due anime del carisma di Don Bosco, quell’educativa e quella
tenera ed affettuosa dell’accoglienza pura e semplice del diverso. “Come si fa
– mi ha detto – a rompere la bile con un calcio ad uno scolaro, come ha fatto
un maestro italiano in questi giorni? Educazione, benevolenza, come ci ha
insegnato don Bosco”.
La compagnia di questo sacerdote,
cinese dal 1939, quando venne qua a 15 anni, mi è talmente gradita che riesco a
perdonargli tutta la fatica che mi fa fare ed il dispiacere di essere
considerato un turista.
Non m’interessa proprio essere un
turista. Io amo la Cina e vorrei tanto restare, come un buon seme di Cristo.
Riconosco che la nostalgia per casa è
tanta, il clima (benché ottimo in questa stagione, fresco ed asciutto) non mi è
proprio congeniale ed il cibo, che gusto volentieri, mi muove l’intestino; la
lingua, musicale come poche, è ostica e difficile, ma affascinante; il rumore
della città costante e ininterrotto; il desiderio di essere compreso e di
comprendere fortissimo ed al tempo stesso lo spazio dove vivere ridottissimo.
Riconosco tutto questo, riconosco che
il mio lavoro qua è pressoché inutile (c’è un’altra medicina), ma vorrei
proprio restare.
Non per fare soldi. Come volentieri sarei sparito nei boschi americani così sparirei nelle campagne all’interno della Cina. Ma vedo e sento che la vita è dura e la fame, per molti, una realtà. Così chiedo al buon Dio di fare l’eremita di città.
E’ così semplice, visto qui, il
ragionamento, incomprensibile in Italia, delle scuole libere. Qui tutte le
scuole sono libere. Tutte. Quelle governative e non. Qui tutti, maschi e
femmine studiano.Tutte le scuole sono sovvenzionate, dagli stipendi, alle
attrezzature, alla manutenzione. Tutte gratuite fino al compimento della scuola
dell’obbligo. Poi un piccolo contributo è chiesto alle famiglie; ma i bisognosi
e meritevoli continuano gratuitamente. Le famiglie, la maggior parte non
cattoliche, fanno a gara per mandare i figli e le figlie alle scuole
cattoliche. Non hanno obiezioni di sorta sugli insegnamenti offerti ed anche il
catechismo è seguito e ricercato, perché i ragazzi vengono su bene, educati,
rispettosi, volonterosi ed onesti. Qualcuno da grande chiede il battesimo,
qualcuno scopre anche una vocazione religiosa.
Dovrebbero venire qua i nostri laicisti
italiani! La Cina Popolare stessa chiede e sceglie personale di Hong Kong per i
quadri dirigenti di industrie e maestranze specializzate.
Personalità forti, culturalmente
preparate, anche in campo sociale e politico, sono cresciute nelle scuole
cattoliche.
Il diritto delle famiglie alla scelta educativa qua è talmente chiaro da non dover neppure essere messo a tema. E’ evidente. Se ne vedono gli effetti anche ad occhi superficiali come i miei.
Hong Kong, essendo un porto franco, è
un vero e proprio mercato aperto 24 ore su 24, 365 giorni l’anno. Ognuno
contratta come e con chi vuole il proprio lavoro. Tasse bassissime permettono
che la gente facilmente arricchisca o possa lavorare. Ma, come dice il mio
carissimo amico Hermes, sinologo e legale in utroque iure, cioè laureato in
Italia ed in Cina, manca il Welfare. Cioè, i vecchi inattivi, tranne una
piccolissima pensione di sussistenza (credo 100 US $, ma non so bene) ed alcune
piccole facilitazioni, sono completamente a carico dei figli, al punto che
anche lo studio e l’attività dei giovani viene scelta in base al reddito che
permetterà di sostenere i genitori anziani. Così pure, se uno non lavora per
come il datore di lavoro richiede (es. straordinari) può benissimo essere
licenziato.
I lavoratori italiani supertutelati…
Con Hermes, conosciuto personalmente solo ieri sera, ad una cena di commiato per il fratello Glauco, ma amico di Icio e Isabella, c’è stata subito un’intesa buona. Storie diverse, età diverse. Però subito mi sono trovato bene e non solo perché è un immigrato italiano. E’ stato naturale per me parlare con lui di tante cose. Mi ha messo subito a mio agio.
Il punto attraversato a nuoto dai
soldati giapponesi durante la II^ guerra mondiale, per conquistare l’isola di
Hong Kong, anch’io l’ho attraversato. Su di un traghetto. Saremo stati in tutto
12 passeggeri. Anche la stazione marittima è piccola e si paga solo su di una
sponda, per risparmiare le spese di personale. Una grande e veloce nave
portacontainer ci ha attraversato la scia, mentre una chiatta trainata da un
rimorchiatore l’ha tagliata in senso opposto.
Una strada stretta e ripidissima, la
stessa sezione stradale che Padre Pezzola percorse nel 1939, ci porta a
Stanley, sul versante sud dell’isola.
L’autista spericolatissimo del bus a due piani, schiaffeggiando rami tropicali senza riguardo alla carrozzeria e attraversando una diga per la raccolta dell’acqua piovana, la prima costruita a Hong Kong, ci scarica davanti ad una casa bianca di stile coloniale con una scritta sulla facciata “ANNO 1859 “Quando c’erano inglesi colti” dice don Pezzola. E discutendo sulla proposta di adozione del latino come lingua ufficiale dell’Unione Europea, s’infila nella chiesa di Sant’Anna, dopo essersi tolto il cappello. Mi fa cenno di seguirlo, attraversa il cortile della Primary School e s’infila in una porta con degli strani segni rossi sulla porta. “Quando vengo a Stanley mi fermo sempre qui”. Sono i gabinetti. Qui, all’uscita, sotto il portico, ricevo la mia prima lezione di lettura e spiegazione della lingua cinese. Imparo, e sono contento, le parole “uomo”, “donna” e “persona”. Il maestro è semplice e illuminante. Corregge ed approva. Sollecita e spiega.
Mi
spiega anche come si fa a cercare le parole nel vocabolario, in base alla
radice, ad es. legno, perciò sotto quella radice si cercano le parole indicanti
gli arnesi fatti col legno.
Al ritorno in autobus la sua origine
latina, la sua verve italica viene fuori tutta. Il fascino sprigionato da buon
italiano, il suo saperci fare, gli permette la “conquista” di due signore
francofone, una francese col naso all’insù dagli occhi ceruleo smeraldini ed
una cinese di Hong Kong abitante a Nice.
Le affascina letteralmente, mentre io,
di fronte a tanta maestria batto in ritirata, complice il mal di pullman.
Con una punta d’invidia, seduto di
fianco ad una diafana ragazza inglese, seguo le fasi del dialogo.
Si mostra subito per quello che è, un
sacerdote, e arriva a far loro dire (lo capisco dal francese che intercorre fra
le due donne, mentre non so se Padre Pezzola comprende; ma credo di sì) che
andranno ad ascoltare la sua Messa, anche se da molto tempo non frequentano più
la Chiesa.
Il fascino semplice di quest’uomo ha
fatto ancora le sue vittime. Per conquistare a Cristo non esita a rivelare con
tutta franchezza e sincerità che lui ama molto la lingua francese pur avendola
studiata pochissimo ed avendola interrotta a Shanghai per l’occupazione
giapponese.
“Mi devi fare conoscere il tuo amico
italiano che abita qui e conosce il cinese” mi dice. La stessa cosa mi ha
chiesto Hermes quando gli ho parlato di questo Padre Salesiano. Devo proprio
farli incontrare. Forse nascerà qualcosa anche a Hong Kong? Lo spero con tutto
il cuore. Chissà se dei Memores o qualche esemplare della Fraternità di S.
Giuseppe vorrà o potrà o gli sarà chiesto di piantare le tende o nascerà qui.
Se Dio volesse davvero che uno o una fosse qui un segno nuovo di verginità qui
e poi…!
“Uno semina, uno raccoglie, ma è il Signore che fa crescere” dice S. Paolo.
E’ già il 14 Dicembre. I miei amici
stanno spendendo le ultime ore della domenica, il tardo pomeriggio. Laura e
Richard, David, Michael, Daniel, Bernadette e Mike stanno uscendo dalla Messa
delle 11. Forse a Hollis c’è la neve. Qui il cielo è coperto. Padre Francis Che
gentilmente un’ora fa mi ha chiamato per sentire come va. Padre Pezzola ha
quasi l’età di mio babbo. Me lo ricorda tanto. Mi dà del Lei e mi tratta da
adulto, da visitatore. Talvolta gli scappa del Tu. Io desidererei tanto essere
interpellato sempre così. Le attenzioni e le tenerezze sono paterne. Anche le
durezze e le decisioni lo sono e la precisione che mi sollecita ad usare.
Sto così bene con lui… E’ come se
stessi con mio padre. A cinquant’anni si può avere ancora il desiderio di
essere un ragazzo. Se ancora avessi mio babbo qui! E mia mamma.
Si avvicina il Natale e non so ancora dove lo passerò. Ho affidato anche questo alla Madonna.
16.12.1998 ore 2,30
Notte insonne. Le zanzare mi
tormentano. E spero siano solo le zanzare. Di notte anche i rumori più normali
fanno paura. Sulla strada di fianco corrono di continuo le automobili. Il
traffico non si ferma mai. Credo di aver dormito un’oretta e mezzo. Non so
proprio. Di giorno sono molto stanco. Credo d’essere anche dimagrito: lo vedo
dai buchi della cintura.
Quante volte in questi giorni ho
invocato la presenza di Roberto, il suo senso pratico e le sue decisioni
concrete. Navigo molto sul sentimentale, fosse stato per me stasera non avrei
neppure mangiato. Fortuna che don Francis mi ha invitato a cena fuori, con una
signora, che è la presidente di un’attività parrocchiale. Mi ha chiesto se in
Italia si trova l’olio essenziale di lavanda e la cera d’api. Le ho assicurato
che m’interesserò per fargliene avere.
Credo proprio di non riuscire a
rispondere nel modo dovuto a tutte le attenzioni con cui mi circondano. D’altra
parte, anche in Italia, non corrispondo alle attenzioni che tutti hanno verso
di me. Capisco sempre dopo, sempre tardi. Come ci viene sempre detto, il rapporto
di Dio con noi è ben oltre le nostre incomprensioni, presunzioni o sentimenti.
Così, mentre mi avverto sempre inadeguato di fronte alla realtà che mi
circonda, cioè a Gesù Cristo che mi viene incontro nelle circostanze, Egli
comunque mi viene incontro, nel suo modo, per me misterioso, ma estremamente
vero.
In questi giorni sono solo capace di
offrire, di piangere e di offrire. Piango spesso. In silenzio. Forse perché
sono lontano di casa, forse perché si avvicina l’anniversario della morte della
mia mamma e mi sento sempre più orfano, forse è una fase della mia malattia,
forse perché penso di continuo non potendo parlare con nessuno ed anche una
sola parola di inglese mi costa sforzi incredibili. Tutti mi sorridono. Un
ragazzino oggi mi ha apostrofato in un certo modo come di saluto. Non ho saputo
neppure come rispondergli. Ecco perché forse il Signore mi fa vivere in Italia:
mi piace ancora molto imparare, conoscere, viaggiare; ma non ho l’animo per
affrontare di cuore quello che comporta.
Ultimamente spesso invoco dal Signore
la capacità del silenzio; non il ritirarsi, ma quello sguardo tenero e
compreso, che è Suo proprio, così presente a tutto e così discreto al tempo
stesso, tant’è vero che Lui è qui, sempre, e noi neppure ce ne accorgiamo.
Ecco, così.
Stamattina guardavo i bambini di una
scuola elementare qui vicino ai Salesiani. Bellissimi e vivaci. A me non è
stato dato di averne. Eppure mi è stato dato di averli in altro modo, con una
paternità più compiuta. “Ecco sono tutti miei” dicevo. Questo sguardo al loro
Destino, il desiderare per loro ogni bene, che è Gesù stesso, è il frutto di un
lavoro che mi è stato dato e chiesto. Lo sguardo di don Pezzola porta questa
consapevolezza, l’attenzione che ha verso i ragazzi è così paterna! Ho visto in
lui lo stesso sguardo che è nella fotografia di D. Bosco in casa di Beppe,
nella casa di D. Giuseppe Maioli, che mia zia Maria, davanti a me, ha
ringraziato perché si prende cura di “questo che non ha nessuno, e che non l’ha
mai avuto”, cioè me.
Questa mattina sulla Nathan Road, ho
visto un vecchio con una giacca nera, lacerata, al gomito e alla spalla,
seduto, con la testa sulle ginocchia, a faccia in giù. Mi è venuta subito in
mente Madre Teresa. Tanti altri vecchi questi giorni ho visto girare con i loro
sacchetti di plastica, unico bene. Per due sere consecutive, sotto la pensilina
di un autobus, vicino alle Suore Canossiane, di fronte alla caserma
dell’esercito cinese, in Austin Road se ben ricordo, stava seduta con
l’ombrello aperto e tutt’intorno i suoi sacchetti, una vecchia. Ed altri, molti
altri, mescolati a negozi di ogni splendore, pieni di ogni ben di Dio. Anziani
che giocano a soldi o a scacchi cinesi, anziani che leggono il giornale,
anziani che arrancano lungo le strade, anziani che fanno ginnastica la mattina.
Ce ne sono alcuni che fanno Tai Chi Chuan con una tale eleganza! Anziani che
parlano ed anziani che tossiscono.
“Come una goccia d’acqua nel mare - diceva Madre Teresa – ma se neppure questa goccia d’acqua ci fosse?” Come è fredda la notte! E pregava, pregava. Io la invoco sempre, così come il Cardinale Wyszynski. La Chiesa un giorno ci dirà se sono santi. Amici che hanno amato nostro Signore lo sono di sicuro. Come Bubi.
E’ il periodo migliore per vedere Hong
Kong. Percentuale di umidità bassissima, sotto il 50%, temperatura compresa fra
15° e 19° C.
Si vedono ancora ragazze in minigonna e senza calze. Forse vogliono far vedere le gambe. Ma, ha ragione Glauco, sono un po’ tozze e storte. In compenso c’è una tale varietà e quantità di ragazze che vuoi che non ce ne sia una buona?
I canali televisivi a Hong Kong sono
quattro; così non si perde tanto tempo e trasmettono o giochi o film o
telegiornali o pubblicità (anche spettacoli per bambini). I film o sono comici
o dell’orrore, i telegiornali, fortunatamente sono brevi, la pubblicità è
tanta, i giochi sono uguali a quelli italiani. Il telegiornale della Cina
continentale è estremamente noioso: mezz’ora di notizie riguardanti le attività
e gli incontri dei vari organi dirigenti, dal presidente giù giù. Quello di
Taiwan è come quello italiano: disgrazie, furti, assassinii, corruzione. Tutto
il mondo è paese. Il vantaggio dei canali televisivi di Hong Kong è che non c’è
pornografia, a differenza di quelli italiani (alcuni). Ma sta qui il punto?
La mattina tutte le televisioni aprono
con le notizie di borsa e la quotazione della moneta. E’ un po’ come dire
“Padre nostro”. C’è chi inizia la giornata pregando e chi con il valore dell’HK
dollar, il quale è fissato per legge a 7,75-7,80 per US dollar; ma, secondo
alcuni, realisticamente dovrebbe essere a 11,30-11,40, cioè mediamente
inferiore del 50%. Ma queste sono valutazioni personali.
Non conosco lo stipendio medio di un operaio, non so valutare l’impatto sull’economia familiare dell’attuale momento. So solo che l’Italia richiede ai cittadini di Hong Kong il visto d’entrata se vogliono visitare le nostre città, al contrario di Hong Kong che non richiede visto per i cittadini italiani. Forse Roma teme un effetto Albania o Kurdistan?
16.12.1998 ore 15,30
Tutto mi costa fatica in questi giorni.
Dormire, mangiare, camminare, pensare. Tutto è molto faticoso. Vado più
volentieri a prendere uno snack qui di sotto dove due donne cinesi tengono un
piccolo spaccio e fanno da mangiare per gli studenti e gli operai che vogliono,
che al supermercato dove c’è tanta roba. L’inglese, a me incomprensibile, che
usano queste cinesi è più umano della musica, bellissima dei supermercati. Mi
si ripropone qua la stessa cosa che in Italia. Non riesco a mangiare da solo.
Padre Pezzola mi ha portato a mangiare
il serpente: con lui mangerei tutto, anche lo sterco di cavallo nella ciotola
di un lebbroso, oppure anche all’Hilton Hotel. E’ una questione di compagnia.
Il mio amico Hermes mi ha raccontato che quando venne in Cina con una ditta
italiana a fare da interprete, gli operai in treno mangiavano un indigesto pane
di riso col salame italiano. Lui andò nel vagone ristorante ed incominciò a far
loro gustare il cibo cinese. Con lui lo fecero. Seguendo lui.
Ieri sera sono andato a mangiare in un ristorante cinese “di lusso” con don Francis e la signora Wong. Forse l’ho già scritto. Abbiamo mangiato con il fornello sul tavolo in cui si cuoceva di volta in volta la carne o il pesce o i gamberetti o le verdure o la soia. Tutto molto buono. Tranne qualche parola italiana e inglese, tutto il pranzo si è svolto in cinese. Non sapevo più se mangiare o tornarmene a casa. Il pesce veniva pescato in vasche dove vive, e cotto così fresco. Mi faceva una certa impressione vedere questi “shrimps” finire vivi nell’acqua bollente!
Non c’è fondo al bisogno qui a Hong Kong. Un vecchio trascinava, letteralmente sollevandola con le mani, la gamba destra storpia, con la gamba sinistra dal piede storto. Così in mezzo alla gente per due isolati. Poi, attraversato il semaforo, si è appoggiato alla ringhiera, posta lì a difesa dei pedoni, e si è messo a guardare la gente ed il traffico.
A Hong Kong il cielo di notte è bianco. Non ci sono stelle. No stars. Non si vedono, mentre le luci della città formano di riflesso una tettoia luminescente.
Anch’io, provvisoriamente ho il mio
flat. Con il terrazzino, il filo per stendere i panni, il condizionatore (che
adesso non si usa) e le zanzare, piccole, poche, ma terribili. Spero solo che
non siano malariche. Stanotte s’infilavano dappertutto. Non sono come le
zanzare assassine del New Hampshire, ma ce la mettono tutta per assomigliare a
loro.
Anch’io sono un homeless che vago per la città. Solo che se lo desidero, vengo nel mio piccolo flat in disuso e mi fermo un po’.
Ho sempre sonno. Ogni tanto, per riposare le orecchie, vado in un campo da calcio qui vicino e mi distendo osservando l’erba verde e distrattamente i ragazzi che giocano. C’è un po’ di silenzio. Mi domando spesso: “Può un europeo vivere a Hong Kong?” o meglio “Sopravviverà Cecco a Hong Kong?”
Questa mattina alle 5,30 scendo nel
cortile. “Ehilà – mi interpella una voce – sto facendo la solita camminata”. E’
padre Pezzola, in tuta e berretto. Poi mi cerca e mi spiega che ogni volta, col
gesso, segna quanti giri sono. Il sonno mi attanaglia. Alle 6,30 vado in
Chiesa. Cominciano le Lodi in cinese. Le sento e mi assopisco. Dieci minuti
prima della Messa, stravolto, torno di sopra e, raccomandandomi al Signore
insistentemente, mi addormento fino alle 13 circa.
Alcuni anziani fuori della Chiesa aspettano che la Messa inizi. Piccoli, lenti si muovono sussurrando fra loro alcune parole.
I cinesi lavorano e molto, ma non ne
hanno il gusto. Si può dire? Credo che se il turismo a Hong Kong fosse in mano
ai romagnoli della costa si vedrebbero delle cose favolose. I cinesi hanno il
senso del commercio, ma non quello dell’ospitalità, del mettere a proprio agio
gli stranieri.
Il gusto del lavoro, il gusto
dell’accoglienza. Non intendo la gentilezza o la cordialità. Intendo proprio il
gusto dell’altro, non un possibile acquirente, il gusto che l’altro sia lì, il
gusto di farlo sentire a casa sua, il gusto del lavoro non solo per fare i
soldi, non so come dire, il gusto della costruzione, del bello. Tutto è come
inteso in maniera utilitaristica, cose e persone. O sbaglio?
Hermes, l’avvocato sinologo potrebbe chiarirmi al riguardo.
Quante volte penso alla mamma di Bubi!
16.12.1998 Sera
E’ davvero grande la forza
dell’Eucarestia! Sono andato a Messa a St. Teresa Church stanco e spossato.
Dopo la Messa (in cantonese) sono uscito con le ali ai piedi.
Una bellissima signora con una “mise”
di velluto rosso all’orientale ed un paio di jeans all’americana, raccolta in
silenzio, composta, pregava davanti alla statua di S. Giuseppe.
Ho pensato subito alla nostra
Fraternità ed ho pregato per tutti noi. In qualsiasi chiesa vada c’è la statua
di S. Giuseppe. Per me è un segno.
Le impalcature di canna di bambù
avvolgono palazzi di 20-30 piani, come quelli più bassi, con una leggerezza ed
una robustezza incredibili. Altro che i nostri Tubi Innocenti!
E come si arrampicano i muratori! I
bambù sono legati con del filo di plastica ed hanno diverse sezioni.
Giorgio, vorrei vedere te, quaggiù.
!7.12.1998
Se questi benedetti cinesi, invece di
pensare cosa vi fa piacere, ascoltassero e chiedessero cosa vi fa piacere,
sarebbe una bella cosa.
Questa mattina due sole cose desideravo
fare: lavare dei panni ed andare a Messa a St. Teresa. Pronto. Mi è venuto a
cercare Don Francis per dirmi che mi avrebbe portato a visitare una loro scuola
in un sobborgo popolare ed avremmo mangiato lì. Bene. E’ stata una cosa bella
che mi abbia coinvolto in un suo lavoro (è il supervisore) ed aver potuto
vederlo all’opera nei rapporti che ha con i presidi di ogni sezione della
scuola elementare. 1600 bambini divisi in due turni giornalieri. Scuola in
espansione grazie alle continue richieste da parte delle famiglie e dei
contributi del governo locale che si fida della gestione. Bambini contenti e
personale motivato ed attivo. Il pranzo, assolutamente cinese, è stato
cordiale, come tra amici.
Dialoghi naturalmente a voce alta, bei
suoni, per me assolutamente incomprensibili.
Ad un certo momento con il naso nel piattino e le dita impegnate nei bastoncini (di plastica) ero completamente solo fra mille suoni. Solamente ad un certo punto mi hanno coinvolto, verso la fine del pranzo. Naturalmente sono sempre stato sommerso di attenzioni, tè nella tazzina ed i bocconi più buoni nel piattino. Un po’ come quando mangio da solo a casa. Il mio inglese ovviamente non mi permette di intervenire. Figurarsi che stamattina ho girato come uno scemo per mezz’ora in un supermercato cercando del filo da stendere i panni senza sapere neppure chiederlo alla cassiera.
La giovane signora che mi ha sorriso oggi per strada vicino alla Tang King Po School è l’unico segno di comunicazione cordiale che oggi mi ha detto: “Sono qui, mi riconosce?”. E’ la signora dello spaccio da cui vado a prendere ogni pomeriggio uno snack alla cioccolata.
A volte penso che i cinesi siano come
gli inglesi: o conosci la loro lingua o ti arrangi. E se non la conosci peggio
per te. D’altra parte è vero che tocca a me parlare come loro; ma chi me lo
insegna? Don Francis non perde occasione per dirmi che è bene che mangi
all’europea e mi tratta come un turista europeo.
E’ sempre cordiale, ma come chi ti
lascia fuori dalla sua vita. Un turista deve vedere il più possibile, un
turista deve provare il cibo, un turista deve comperare cose da portare a casa.
Può un turista essere semplicemente un
amico?
Il motivo della mia solitudine qui ed
anche di una certa invadenza subita è proprio questo. Hermes mi ha subito
accolto ed accompagnato nelle tre ore che è stato con me. Don Francis, con
tutta la sua buona volontà, non l’ho mai sentito vicino. Così mi ha voluto
portare a vedere Sha Tin oggi pomeriggio: un bel giardino, bei ponti ed un
grande fiume. Poi mi ha portato in questa grande “mall”, piena di negozi e di
gente, chiedendo se volevo comperare qualcosa, se volevo bere qualcosa, se
volevo mangiare la pizza, o dei giocattoli per i bambini, finché ho dovuto
dirgli che queste cose mi danno fastidio, che non riesco a stare in un posto
dove l’unica preoccupazione è vendere e comperare, che preferisco piccoli
negozi, se ho bisogno qualcosa.
“Bisogna anche abituarsi” mi ha
risposto.
“Ma Lei deve comperare qualcosa?” gli
ho chiesto.
“No, io no” mi ha risposto.
“Andiamo a casa? Vorrei andare a Messa
a St. Teresa”.
“Ma c’è tempo”.
Sta di fatto che per la stanchezza,
giunti a casa non ho avuto più la forza di andare a Messa.
Benché fossi stanchissimo ha voluto a
tutti i costi mostrarmi dove sarei potuto andare a mangiare la sera in alcuni
locali dove si mangia anche all’europea. Che è una preoccupazione giusta; ma
perché non aspettare che lo chieda, se mi interessa?
Poi mi sono detto: “Perché non cerco io
di capire i cinesi, di capire don Francis?”.
Comunque, con grande desiderio, parto
per Tai Pei, verso la casa di Icio e Isabella.
Mi sto un po’ pentendo di questa
ospitalità gratuita del Centro Catechistico Missionario Salesiano.
Per questo motivo, se Icio e Isabella hanno piacere che rimanga da loro per Natale, sicuramente resterò.
Uno con cui sto bene, stentando a parlare, ma con sincerità, è il segretario del parroco don Francis, un ragazzo di 30 anni. Non ci capiamo quasi, si equivoca spesso nel significato delle frasi; ma è un tipo cordiale, aperto, attento.
La metropolitana di Hong Kong è molto bella, pulita ed ordinata, anche perché chi viene sorpreso recidivo a sporcare o a mangiare o a gettare carta, si fa un periodo di prigione. Non viene chiesta una multa. La metropolitana di Roma ha tutto da imparare.
18.12.1998 ore 4,40
In Polonia le zanzare mi devastarono
provocandomi uno schock anafilattico, in America mi tennero chiuso in casa,
tanto il dolore era forte che mi provocavano pizzicandomi, qui ne basta una per
farmi una faccia gonfia come un pugile suonato e non farmi dormire. Non
rispettano neppure le labbra anche se non fanno male più di quelle italiane.
Forse incomincio a capire perché il
buon Dio mi vuole far vivere in Italia e con le retine alle finestre e a
Rimini.
Ho scoperto che il cibo cinese,
qualunque esso sia, mi provoca, a breve distanza di tempo, diarrea,
irrimediabilmente. E sì che mi piace. E’ solo un fatto psicosomatico? O sono le
spezie ed il diverso sapore? O è il tè? O l’uso dei bastoncini? Mah!
Oggi partirò per Taiwan. Spero che là
non esistano zanzare assassine.
Forse per vivere in Cina ci vuole un fisico particolarmente robusto come quello di don Pezzola, o bisogna esserci nati, o non bisogna essere dei romantici “pataca”. Forse bisogna essere un po’ più svegli, nel senso di dormire la notte ed adattarsi intelligentemente all’ambiente ed alla situazione.
Ieri sera, alla novena di Natale, mi
sono commosso come quando a Rimini la sera, tredicenne, durante la cena, mi
veniva in mente la mia famiglia lontana. I canti bellissimi, le voci compunte e
intonate, le parole non note, i gesti consueti ed il ricordo di altri tempi ed
altri luoghi hanno fatto il resto.
Ora gli amici hanno preso il posto dei
genitori e dei fratelli. Il loro silenzio lontano mi pesa e mi richiama. La
stessa fede, le stesse preghiere, lo stesso Signore me li richiama. E’
struggente. Non è che non si stia bene qui, I sorrisi e le attenzioni si
sprecano. Ma tutto si combina e si mescola. Resterei e tornerei. Vorrei stare
qui ed essere là. Un po’ come mi succedeva in America. Vorrei stare qui, con
loro. Non per essere in un’isola felice, piuttosto per affrontare insieme lo
stare qui. Tutti mi tornano quotidianamente alla memoria. Quel disgraziato di
Bubi che non ha voluto venire (non poteva neppure), Lella, Mimmo.
Claudio, don Giancarlo, Mimmo, Roberto
o don Giuseppe, Elena Gasperini o Angela.
Bruno.
Per questo vado volentieri a Taiwan da
Isabella e da Icio. Un po’ come un conforto.
E poi, se qualcuno volesse aiutarmi a
vivere qui e a capirci, a conoscere la lingua…
Caro Hermes, è tutta una questione di
compagnia.
Anche i missionari del PIME hanno la
loro (ho conosciuto padre Morlacchi), anche don Pezzola ragazzino ebbe la sua,
e ce l’ha tuttora.
Guardare ed amare Cristo presente qui ed ora è un affare personale, l’io davanti al Mistero. Il Mistero ha il volto così concreto della compagnia di amici che Egli ha preso insieme.
Sono convinto che Elena avrebbe
disapprovato questo viaggio e, a dire la verità, le sono un po’ scappato, non
le ho detto niente di proposito. Se Dio vuole, per Natale la chiamerò anche se
mi prenderò una sgridata. Non posso fare a meno di sentirla e di farle gli
auguri, anche se dall’altra parte del mondo.
Louis Ng, il segretario di don Francis,
mi ha salutato regalandomi una confezione di cartoline di Hong Kong per
ricordo, perché quando tornerò non sarà più qui, ma in Corea.
Mi ha ricordato gli amici di Cracovia.
Quando sono partito facevano loro i regali. Non ho mai dimenticato gli amici di
Cracovia, anche se non sono più tornato là. Li ricordo e prego.
A volte vorrei vivere in un eremitaggio
e tenere a mente e nel cuore tutti gli amici e le persone conosciute, un po’
come Vincenzo, l’eremita delle Balze, che mi ha riconosciuto dopo 20 anni e mi
ha sorriso. Non so neppure io cosa vorrei.
Vorrei sparire nel cuore di Gesù ed
avere presente tutto e tutti.
Sono le ultime ore della notte. Aspetto
la luce per fare le valigie, perché le zanzare finalmente vanno a dormire. E
poi siamo d’inverno ed è secco come clima! “E’ il periodo migliore dell’anno”
mi ripete sempre don Francis.
Le zanzare come Zero silenziosissimi si
gettano su di me come kamikaze. Che abbiano imparato la tecnica dai giapponesi?
‘Sti cinesi prendono su tutto e copiano tutto come fanno i napoletani. Basta
guardare gli orologi di marca in vendita a Yau Ma Tei a poco più di 100 HK $.
A volte mi chiedo se anche Hong Kong non sia copiata. Che sia anche lei una città “taroccata”?
A parziale correzione di quanto detto:
ieri sera ho visto 4 stelle, deboli, ed un pianeta (Venere?).
Quindi il cielo esiste, anche sopra Hong Kong.
18.12.1998 ore 11
Ho sempre l’impressione che svoltato
l’angolo o preso l’autobus, dopo qualche fermata, ci sia Rimini. Sono tutto un
pizzico e sono spossato. Fra qualche ora parto per Taiwan. Spero di rifarmi un
po’ da Isabella. Forse è stata una scelta inopportuna accamparmi qua al Centro
Missionario Salesiano. Quest’ala è decisamente in disuso. Ieri facendo la
doccia, sono scappati fuori due animali marroncino chiaro lunghi circa 7 cm. Li
ho ammazzati, ma ho finito presto anche la doccia; mentre nei water c’è
l’acqua, ma l’igiene lascia a desiderare ed i pavimenti sono decisamente neri e
le piastrelle in linoleum dei pavimenti si staccano.
Ho chiesto a don Francis perché non lo
mettano a posto.
“Non dipende da me” mi ha risposto.
Mangio poco e male. Anche qui come a
casa, non riesco a mangiare da solo. Per me non ha senso. “Il massimo dell’irrealismo”
mi direbbe don Giancarlo. Sono proprio senza rete. Tutto ciò che ho visto è
stato nei primi giorni. Il lato duro della vicenda è adesso.
Non riesco più a vedere altro:
camminare. respirare, dormire, mangiare, leggere, pregare, tutto è molto faticoso.
Non voglio scappare, vorrei vivere bene anche questo, cioè con senso.
E’ pretesa chiedere una mano?
“Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala”: mi si potrebbe dire.
18.12.1998 ore 15
Una simpaticissima cinese, magra, dai
lineamenti purissimi, con i tacchi alti ed un completo grigio siede
accovacciata poco distante da me, guardando stupita tutto attorno, un
sino-mongolo seduto di fianco a me si toglie le scarpe mentre aspettiamo di
salire sull’aereo China Airlines per Tai Pei.
La foschia avvolge l’aeroporto internazionale dell’isola di Lantau, Hong Kong. Il ponte sospeso che arriva fin qui da Kowloon è stupendo. L’aeroporto è modernissimo. Don Francis mi ha accompagnato fin qui. L’autobus A22 è comodissimo. Mi riprende il fascino dell’Oriente. Oggi a pranzo padre Pezzola, sorseggiando una tazza di tè mi ha detto: “Guardi, qui siamo in America. Abbiamo tutto. Qui a Hong Kong”. Gli chiedo: “Lei quando diventerà Superiore Generale?”. “Oh, non ho tempo per quelle cose lì. Evangelizzare!”.
19.12.1998 Mattina
Ho riattraversato il Tropico del Cancro
e sono a Taipei, Formosa. Piove. Fa caldo. Ieri sera all’aeroporto c’erano 22°.
Sono fondamentalmente certo d’essere
irriconoscente. E’ bastata una semplice frase d’Isabella quando le ho
raccontato di questi giorni a Hong Kong e dell’accoglienza e del tempo speso
per me da don Francis Che. “Che forte!” mi ha detto. Io segretamente l’ho
sempre sospettato di secondi fini. Ed anche don Pezzola, in qualche modo,
magari innocentemente, lo vedevo coinvolto. E sono stato sempre molto
combattuto fino a rasentare l’offesa. “Poca osservazione e molto
ragionamento…”. Non capisco proprio niente dei cinesi.
Sono arrivato qua con un B747-400 della
China Airlines, la compagnia di bandiera di Taiwan. Ottimo volo, ottimo
servizio, ottime hostess. Un'ora ed un quarto di volo, una sciocchezza. Sopra i
10.000 metri, un cielo stupendo. Sotto le nuvole. Qualche volta squarci in
trasparenza dell’Oceano Pacifico.
Taiwan è del tutto diversa da Hong
Kong. Intanto si parla un altro cinese. Si sente subito, anche per un orecchio
non allenato. Poi è più rurale. Case più basse, coltivazioni, specchi d’acqua
usati come risaie o allevamenti. Inglese poco. Meno ricchezza, meno tecnologie.
Più silenzio.
Icio mi aspettava all’uscita
dell’aeroporto.
In poco tempo con decisione e
responsabilità mi ha sistemato le conferme per i voli di ritorno a Hong Kong e
in Italia.
Dopo mezz’ora di guida nella giungla delle strade di Taipei-Napoli, mi ha catapultato nel bel mezzo della festa di Natale dell’Università Cattolica dove lavorano lui e Isabella. Di comprensibile per me c’erano solo i loro commenti ed il cibo cinese, che per la seconda volta in questi giorni non mi ha mosso l’intestino. Sto proprio diventando cinese.
Ho trovato un ottimo insegnante di
cinese: Davide. Dall’alto dei suoi cinque anni e della semplicità con cui vive
quello che gli capita ha incominciato a comunicarmi le sue conoscenze ed a
correggermi.
A questo punto proprio non tornerei più
indietro. La vita qua è sicuramente più difficile che in America e meno
rassicurante che in Italia; ma lo spirito d’avventura mi si presenta davanti.
Ho 50 anni quasi, ma non vorrei smettere di vivere e di conoscere. Sto
decisamente perfezionandomi nell’uso dei bastoncini per mangiare e qualche
suono, se non i toni, mi è già più familiare.
Una stupenda bambina dai tratti
simil-mongolici mi ha già fatto sognare le steppe dei liberi cavalieri di
Gengis Khan. La grandissima Cina sta appena di là da questo stretto braccio di
mare. Le sto girando attorno, ma non l’ho neppure sfiorata.
In compenso, se la bilancia di Isabella
dice la verità, in questi dieci giorni sono calato quasi nove chili, come
purtroppo avevo immaginato. Ho una silhouette decisamente più affascinante, ma
dimostra che ho fatto più o meno la fame. Ecco il motivo della mia spossatezza.
Isabella ha assolutamente insistito che
telefonassi a casa.
Bubi, naturalmente, non c’era.
Don Giuseppe mi ha fatto una gran festa.
Dio mio, perché il cuore si attacca
così? Come farò a morire? Sono contentissimo di essere qui da Icio, nella sua
famiglia, vorrei essere a Hong Kong dai Salesiani e da Hermes, vorrei
festeggiare il Natale con don Giuseppe, giocare a carte con la Lella, Mimmo e
Bubi ed insieme essere a Hollis.
Oggi è il compleanno di mia sorella Pia
e di Elisa, la mia nipote più bella (la più cara è Daniela).
Perché il cuore si attacca a tutto e non si stanca mai?
Oggi arriverà qua il Nunzio Apostolico
a Lagos, nostro amico. Andremo a salutarlo.
In queste poche ore ho potuto apprezzare tutta la personalità fortemente responsabile e cosciente di Icio. Incomincio ad intuire come il Signore definisce e matura la vocazione di ciascuno di noi. Non capisco, intuisco appena un poco.
Davide, Francesca e Maddalena non hanno
niente da invidiare ai bambini cinesi, anche se, ripeto fino alla noia, la
bellezza di ogni bambino cinese meriterebbe un libro.
L’Oriente è talmente diverso da noi che
solo una parola rende bene: affascinante.
Come ha detto bene il mio amico Hermes a proposito dell’inizio della sua passione per la lingua cinese quando era ancora quindicenne: “Mi affascinava il segreto di quei misteriosi disegnini”. Una passione estetica, nel suo significato più vero. La bellezza se non la profondità di coscienza di questi popoli antichissimi. “Noi facciamo conoscere loro quel che essi venerano senza saperlo” mi ha detto padre Pezzola davanti alla piccola pagoda nel centro di Hong Kong. Isa e Icio stanno preparando per il Meeting dell’anno prossimo una mostra sul senso religioso e la cultura dei popoli cinesi.
Come sono contento di avere incontrato
questa gente. Prego di non dimenticarmene mai!
La ragazza cinese che fa da baby sitter ai bambini di Icio e Isa si chiama Lia.
19.12.1998
L’ex Nunzio Apostolico a Lagos, amico di Anna Maria Chiarabini e suo grande estimatore è qui a Taipei e riceverà la famiglia di Icio e di Isabella alle quattro del pomeriggio. Anch’io potrò conoscerlo. Tutta la banda, carrozzina compresa, sale in macchina. Icio guida per Taipei come un ottimo taxista.
21.12.1998
Oggi è il primo giorno d’inverno.
Astronomico. Perché qui a Taipei piove una pioggerellina sottile e sono circa +
20°. Si può girare tranquillamente scalzi e con la maglietta a maniche corte.
Con l’ombrello però.
Sono tre giorni che piove. A tratti,
bontà sua, smette per un po’, poi imperterrita, sottile e insistente la pioggia
lava tutto. Il solstizio d’estate ero a Hollis, NH, l’equinozio d’autunno a
Rimini, il solstizio d’inverno a Taipei.
Per un semplice fatto di curiosità
avrei voluto essere a Hong Kong. Essendo di appena 1° circa di latitudine a sud
del Tropico del Cancro, oggi avrei visto il sole, ammesso che fosse sereno, nel
suo punto più basso a mezzogiorno, cioè nel suo punto minimo più alto possibile
per chi vive nell’emisfero settentrionale della nostra Terra. Già l’altro
giorno lo osservavo, il sole, ma oggi avrei proprio desiderato vederlo. Poi
ricomincia a salire nel cielo fino al 21 Giugno, fatta salva la precessione,
giorno in cui a Hong Kong, a mezzogiorno, non dovrebbe quasi esserci ombra, il
sole risultando pressoché a perpendicolo. Teoricamente sarebbe stato più
interessante avere invertito i viaggi ed essermi trovato a Hong Kong quando ero
a Hollis e a Hollis adesso. Praticamente è meglio così, perché adesso gusto la
compagnia di Icio e Isabella e Davide e Francesca e Maddalena e siamo sotto
Natale, al caldo. A Hong Kong mi hanno sempre detto che questo è il periodo
migliore dell’anno, il resto è troppo caldo. A Hollis, se tutto va bene, adesso
c’è la neve ed un bel freddo. Talché, ringraziamo il buon Dio e continuiamo la
scoperta dell’universo cinese.
Ieri, domenica, Icio e Isabella mi
hanno fatto compagnia tutto il giorno. Hanno lasciato i bambini a casa di Lia e
mi hanno portato a mangiare in un ristorante dove si usa il , cioè un sistema in cui tu
paghi e mangi tutto quello che vuoi, che riesci a mangiare. C’è un fornello
sulla tavola dove puoi cuocere o lessare il cibo, pesce, carne, verdura, uova,
funghi…
Già a Hong Kong don Francis mi aveva
fatto gustare questo modo, là addirittura con pesce fresco e crostacei vivi.
Qui, è stata l’occasione anche per parlarsi, per colloquiare.
Tante altre cose mi raccontano e mi
fanno capire di questa civiltà e di queste popolazioni Icio e Isabella, tanti
usi, modo di pensare, certezze e difficoltà.
Isabella si ferma per qualche tempo ad
una bancarella nel mercatino. Le piacciono dei braccialetti in argento e legno.
Tratta, contratta, si fa spiegare, parla bene il cinese. Icio riprende con la
telecamera altri pezzi, altri oggetti, veri? falsi? Giada, statuine,
inchiostri, tazze, idoli, scatole, in un dedalo di stanze, stradine, tendoni,
pozzanghere. Isa s’è rassegnata, lascia lì i braccialetti; ma le piacciono
proprio. Icio tira diritto. Altre bancarelle mettono in mostra perle, l’ambra,
ancora giada, di vari colori o tonalità di verde, bianco.
Collanine d’oro, orecchini, collane di
perle si alternano. Prezzi bassissimi o medio alti.
Non so neanche la differenza fra giada
e plastica. Certe cose sono belle; ma non mi affascinano neppure. Penso alle
mie sorelle ed alle mie nipoti, alle mie amiche. Farei volentieri un regalo:
non conosco i loro gusti, non mi hanno fatto richieste. Per non tornare a mani
vuote, nel mercatino delle piante Icio mi consiglia di comperare dei piccoli
bambù. Se curati bene, sono belli.
Vedo delle piante in giro, delle
orchidee, dei bonsai ed altre meravigliose piante da fiore o verdi.
La mia mamma qui ci passerebbe un
giorno intero.
Se fosse ancora viva, spenderei tutti i
soldi per portargliene.
In piedi, silenzioso, ad occhi socchiusi,
un monaco buddista sgrana il suo rosario e chiede l’elemosina. Frettolosi e
distratti donne, uomini e bambini piccoli in due corsie, in due sensi di
marcia, percorriamo uno dopo l’altro i banchi dei fiori.
Il mercato si trova sotto un fly-over,
un cavalcavia, con due strade ai lati. Il traffico ci passa sopra la testa e
noi stiamo al coperto, anche se piove.
“Quanti bambù si comprano?” chiede
Icio. E la fioraia, una donna dalla faccia larga e dalla bocca veloce, sgrana
la sua spiegazione: “10 vuol dire amore, 12 passione…” un po’ come le rose per
noi. Decidiamo di prenderne venti, poi adatteremo la spiegazione secondo
opportunità. Un’altra fioraia, meno larga, ma ancora più veloce, ci dà consigli
su come conservarli e le attenzioni da avere per farli crescere. Qualche NT$ e
tanti ringraziamenti, un inchino ed un “babai” definiscono la transazione.
Con una bellissima “Stella di Natale”
in confezione regalo, pagata veramente poco ( i fiorai italiani dovrebbero
imparare), rinnovati nell’anima e nel corpo da una confessione prenatalizia
nella chiesa dei Gesuiti, dove assistiamo ad una Messa chilometrica, torniamo a
casa di Lia a riprendere i bambini.
Scarpe fuori, sul pianerottolo, solo
con le calze, ci fermiamo un po’ di tempo in questa casa ospitale.
Accanto al televisore un altarino con l’immagine di una dea, artisticamente bella, occupa il centro affettivo ed ottico della casa, proprio di fronte al divano. (Noterella: Scoprirò poi che è una rappresentazione di Budda, non di una dea!) Sulla parete di fronte all’ingresso un ideogramma, incomprensibile, su sfondo rosso sovrasta un Budda panciuto. Sotto il Budda una banconota chiede forse soldi o fortune per la famiglia?
Torniamo a casa stanchi. Manca l’acqua. Mi offro di andare a comperarla. Nel piccolo supermercatino all’angolo, un “ciao” detto come saluto mi cattura. E’ l’occasione per conoscere e per parlare un po’, per idioma misto e sorrisi, con Iva, un’allieva di Icio. Ho agganciato una cinesina!
Riprendo il racconto dalla visita del
Nunzio perché è stata veramente bella e non deve essere persa.
Mentre Icio posteggia l’auto Isabella
con i bambini ed io ci fermiamo sotto la piccola tettoia d’ingresso fuori del
muro di cinta della Nunziatura di fronte all’enorme chiesa mormone.
Il poliziotto taiwanese di guardia
c’interroga, poi ci fa aprire.
Un signore gentile ci accoglie e ci fa
accomodare nella sala del caminetto elegante e decorosa.
Il Nunzio amico di Anna Maria, di cui
vergognosamente ignoriamo il nome, ci accoglie, ci saluta, s’informa
interessato non tanto alle cose che si fanno o non si fanno, quanto alle nostre
persone. Ci fa portare del torrone ed è molto attento ai bambini. Ci racconta
di sé, del motivo per cui è a Taiwan, della sua prossima missione a Baghdad.
La tenerezza e l’amicizia che traspare
evidente, la stima che dimostra verso i nostri amici di Lagos è la stessa che
dimostra verso la famiglia di Icio e Isabella e verso un loro ospite
occasionale. Ha proprio piacere di vederci, e siamo gente sconosciuta.
S’intrattiene volentieri e a lungo.
Il Nunzio Apostolico a Taiwan, un
indiano di nazionalità, entra e facciamo delle foto.
Il torrone portato dall’Italia continua
a riempire la bocca di Davide, che peraltro non vuole aprirla per parlare col
Nunzio.
Ci congediamo. Il Nunzio sotto il porticato
ci fa compagnia finché Icio non arriva con la macchina.
La cordialità, la tenerezza è senza
finzioni e per nulla diplomatica. Si vede che è contento di stare con noi in
quanto noi.
Quando nomina i Memores è devotamente compreso. La stima traspare evidente.
21.12.1998 ore 17
Un pretino diafano evidentemente
straniero celebra la Messa nella cappella dell’Università Cattolica di Taipei
oggi a mezzogiorno e dieci circa. La cappella è cinese. Il tabernacolo è una
piccola pagoda, il soffitto a cassettoni e le lampade color rosso laccato,
l’altare è un bel tavolo in stile.
Gesù è lo stesso, anche se si chiama in
modo diverso, mandarino qui, cantonese a Hong Kong.
Riesco a notare alcune differenze. Le
risposte del popolo sono cantilenate, quasi un canto. La lettura anch’essa è un
alternarsi di toni, cadenze espressive.
“Non può essere diversamente” mi fa
notare Icio “nel cinese una parola con una cadenza diversa ha un altro
significato”.
Un forte mal di testa mi ha costretto a
letto oggi pomeriggio.
In questi giorni ho un attacco di grafomania e di iperlalia. Invoco dal Signore la capacità di silenzio.
21.12.1998 ore 21,40
I bambini di Isa si divertono a fare il
bagno, urlano, sguazzano e si tirano l’acqua.
I taiwanesi invece si divertono col
karaoke. Stanno pomeriggi interi in
stanzette con microfono e schermo su cui scorrono le parole delle canzoni
mentre altri aspettano il loro turno scegliendo i brani da cantare, parlottando
fra loro e sgranocchiando snack. Si scaricano così, cantando da soli, neppure
esibendosi.
Isa racconta che una volta, durante una
passeggiata in montagna con i suoi genitori, hanno incontrato un vecchio, solo,
su questa montagna, che cantava con il suo karaoke.
Cantare insieme, ad esempio un coro di
montagna, è una grande novità culturale.
Cantare insieme per manifestare la propria amicizia, la gioia di essere insieme, non è nella mentalità dei taiwanesi. Farlo è una grande novità.
23.12.1998
Sono riuscito in un’impresa
impossibile. Mi sono fatto pizzicare dalle zanzare taiwanesi. Sono molto
simili, se non uguali, a quelle americane. Pizzicano da sopra i vestiti, fanno
un male boia se gratti.
Unica differenza: non lasciano le bozze. Così non ti puoi neanche lamentare. E tutto questo d’inverno, a due giorni dal Natale. Credevo di averla fatta franca dopo quelle assolutamente assassine di Hong Kong. Ormai sarò vaccinato.
E sono sei giorni che piove.
Chen Tai Tai dice che smetterà il 27,
secondo le previsioni, quando io partirò. Siccome è cominciata il 18, quando
sono arrivato, lei dice che l’ho portata io, perciò prima parto, meglio è. A
buon intenditor…
Se qualcuno vuole farvi gli auguri, vi
augura buona sorte, salute e soldi. Ci vuole veramente una buona dose di
fortuna per vivere qui a Taipei.
Questa mattina di buon’ora, complice
l’insonnia, sono andato a fare una passeggiata, sotto la pioggia.
Il quartiere dove abitano Icio e
Isabella, oltre all’Università, è un quartiere di fabbriche e botteghe
artigiane, forse un po’ periferico, anche se il centro di Taipei non esiste.
Non c’è l’idea di centro città per i
cinesi.
I marciapiedi sono sconnessi,
rabberciati, con ampie pozze d’acqua, quando piove. Sporcizia e degrado un po’
dappertutto. In un retrobottega due bambine, ad una luce fioca leggono o
studiano con la mamma; una stupenda, incantevole bambina con la divisa – tuta
giallo verde dell’asilo aspetta il babbo sulla strada. Molte persone giovani in
giacca e pantaloni (o gonna) blu con una scritta ed un numero sopra il taschino
aspettano l’autobus mentre sulla strada sfrecciano centinaia di motorini,
principale mezzo di locomozione qui. Piccoli bar, si fa per dire, preparano
colazioni calde per chi va a scuola o al
lavoro. Qualcuno si ferma a consumarla ai 2-3 tavoli appoggiati sulla strada
sotto la tettoia mentre i gas di scarico
del traffico e delle fabbriche riempiono l‘aria e i polmoni. Una nuvola bianca
di vapore dall’odore acre e dolciastro insieme esce all’improvviso dalla Yakult
e dopo aver investito il marciapiede, si alza verso il soprastante
appartamento. Una grandissima sala di Bowling, la Top One, è già aperta (o è
ancora aperta?), alcuni giovani giocano, mentre, sorpassato un porticato ben
diverso da quelli di Bologna, un’ampia vetrata mostra una sala biliardi con
ragazzi già (o ancora?) impegnati in una partita.
Due cani macilenti (non hanno gli occhi
a mandorla: forse sono stranieri) frugano nell’immondizia sparsa un po’ per
terra, mentre la verdura, le carote ed i pezzi di pollo di un piccolo
ristorante aspettano all’uscita del retro in mezzo alle pozzanghere.
Qualcuno usa i guanti in plastica per
porgere il cibo, qualcuno, di fianco, lava la carne e la verdura in una
bacinella d’acqua per terra sul marciapiede. E si stupisce del mio stupore.
Un tempietto fra due fabbriche profuma
d’incenso ed invita alla preghiera. Nel quartiere in un tempietto più grande
ardono giorno e notte grandi ceri votivi e bastoncini d’incenso portano in alto
le richieste di chi si ferma ad invocare gli immortali.
Mi tolgo il cappuccio come mi ha
insegnato padre Pezzola. “Quello che voi adorate senza conoscere noi ve lo
annunciamo”.
Arrivo fino alla Sanyo di Tai Shan e
torno indietro. Acqua sopra e acqua sotto. Ma come è bello!
Questa gente è amata come lo sono io,
come lo siamo noi.
Un’insegna con la svastica mi fa venire
in mente i nazisti. Qui ha un altro significato.
Mentre apprezzo tutta questa umanità suscito in una ragazza lo stesso sorriso di simpatia e di compatimento che ho provocato in una hongkonghina. Là non riuscivo a capire le sue precisissime spiegazioni in ottimo inglese, qui continuavo a tenere aperta la porta automatica di un piccolo supermarket ostinandomi a guardare da fuori i titoli dei giornali ivi esposti.
Mi piace un sacco questa gente, poi mi torna in mente il realismo di don Giussani che ad Icio ha chiesto sette anni di permanenza qui. Al di là del romanticismo resta la realtà; affascinante, ma faticosa.
Ieri sera siamo andati a mangiare a casa da Lia, invitati dai suoi genitori. Due taiwanesi purosangue. Ottima cena. L’occasione era l’inizio dell’inverno. Descrivere per me i cibi cinesi è un po’ difficile perché non ne conosco i nomi. Comunque siamo stati bene. Descriverò meglio in seguito. Adesso sono un po’ a disagio. Questo strano cuore!
23.12.1998 ore 15,30
Che forte Icio! Un vero padre di
famiglia, tosto e deciso. Di poche parole, ma pesanti. E che ospitalità, che
attenzione!
L’eleganza e l’acconciatura di Isabella
oggi meriterebbero una foto; un video non basterebbe a rendere ragione della
sua capacità di insegnare e della naturalezza e passione con cui fa imparare ai
suoi allievi due canzoni natalizie: “Tu scendi dalle stelle” e “In questa notte
splendida”, il suo stile ed il suo charme insomma.
Gli universitari del 1° anno di corso del Dipartimento di Italiano cantano con un’ottima pronuncia ed una buona intonazione. Isabella è nata per insegnare.
Un prete con una faccia da prendere per
il naso celebra oggi la Messa. Lo diresti un italiano tanto è scanzonato ed
austero al tempo stesso.
Dopo la Comunione una donna inizia a piangere e singhiozzare, in silenzio come solo i cinesi sanno fare.
Anche qui, come a Hong Kong, gli
spazzini si distinguono per un berretto di paglia a forma di cono, il tipico
copricapo “vietnamita”, solo che qui è a cono spezzato, a Hong Kong è a punta
tonda. Molto belli.
A dire la verità vedo più donne che uomini a fare questo lavoro, a Hong Kong pressoché esclusivamente donne. Mi hanno colpito per la serietà e l’impegno messo nel loro lavoro. Tenaci e veloci.
“Cristo che mi ha scelto è lo stesso
che ha dato vita e forza ai martiri e alle vergini: erano persone come me,
fatte di niente e di debolezza. Anch’io sono stato scelto per il martirio”. Le
ha scritte padre Mario Borzaga, missionario oblato di Maria Immacolata, ucciso,
martire per la fede, nel 1960 in Laos a 28 anni.
“Ho paura di morire, di divenire pazzo,
di essere abbandonato da Dio. Respiro con fatica, ho dei sussulti, ma non è
niente. Gesù mi ama comunque, e io l’amo”. Chiede alla Madonna “qualche
tenerezza per la mia debolezza che piange e che cade”. Poi, come per un miracolo,
scopre di amare i villaggi e la gente affidatigli. Il cuore si pacifica e
scrive: “Adesso sono solo con Dio e Gesù è così vicino a me che non penso
nemmeno per un istante di avere paura”.
Penso spesso in questi giorni a S.
Francesco Saverio. Anch’io vorrei morire per questa gente, perché sia felice
incontrando Gesù Cristo. Vorrei sparire calpestato come un seme che poi dà
frutto, senza nome, di fronte al quale poi Gesù Cristo possa essere
ringraziato. Vorrei non tornare più e qui essere piantato per poter andare
incontro a Gesù Cristo qui. Sono stato così contento ieri, guardando le ragazze
di Icio e Isabella, quelle che fanno con loro Scuola di Comunità, nel
riscoprire lo stesso stile che Gesù ha usato con me: non per coscienza chiara,
ma per amicizia verso chi era già stato preso da Lui. Una stima che si comunica
perché vedi nell’amico una cosa buona, possibile anche per te.
Veni Sancte Spiritus, Veni per Mariam.
24.12.1998
La bellissima Simona e la
simpaticissima silenziosissima Marina sono venute a trovare Icio e Isa. Sono
appena tornate dall’Italia dopo tre mesi di assenza.
Se è lecito il paragone fra una donna ed il Memorial Chang Kai-Scek, devo proprio definire Simona il Memorial Pulchritudinis. Ma non è questo ciò che conta di più. La confidenza e la familiarità che dimostrano verso i miei due ospiti dice di una lunga consuetudine e del lavoro svolto in questi anni all’Università Fu Jen. Assieme a Lia, Margherita, Adele, Sofia, appena conosciuta, sono alcune delle ragazze amiche. Fanno Scuola di Comunità. Cristiane o no vivono questa amicizia.
Gli uccellini che al volo catturano le
briciole lanciate in aria da un visitatore del Memorial Chang Kai-Scek non
sanno cosa fanno e dove vivono. Neppure i grossi pesci del laghetto lì di
fronte si rendono conto del loro muoversi qua e là in compagnia di centinaia di
altri pesci rossi e bianchi o scuri o con i baffi.
Vivono però nel più bel pezzo di
Taipei. Nel luogo più silenzioso, elegante e signorile. Un po’ maestoso, a
tratti enfatico; ma sicuramente “imperiale”. Il mausoleo, ricoperto interamente
di marmo di Carrara, bianchissimo, culmina con una costruzione dal tetto cinese
azzurro, al cui interno un Chang Kai-Scek di bronzo, seduto e sorridente,
accoglie come un padre i Taiwanesi e guarda divertito il cambio della guardia,
che a mezzogiorno e per un buon quarto d’ora mette a dura prova la pazienza
delle guardie stesse sottoposte ad un secco, meccanico, robotico susseguirsi di
evoluzioni e movimenti delle braccia, delle gambe, dei piedi, dei fucili per poi
fissarsi immobili per ore su due piccole predelle ai suoi piedi, a lato della
sua sedia.
Il giardino davanti è stupendo. Un
gioco intrecciato di piante, isolette fiorite, prato rasato e alberi isolati è
racchiuso da un portico dove due vecchietti suonatori dilettanti di lamentosi e
fascinanti strumenti musicali accompagnano la voce acuta e struggente di una
ragazza in una nenia dal significato che mi sfugge.
I padiglioni del Teatro dell’Opera
Cinese e della Sala dei Concerti posso solo vederli da fuori.
Ne sono estasiato. E’ un’oasi di bellezza in una città sostanzialmente cresciuta troppo e così, a macchia d’olio.
25.12.1998 S. Natale
E’ Natale. A Taipei no. Tutto è come
ieri, negozi, strade, atmosfera. Solo, stamattina un pallido sole ed una
temperatura mite fanno vedere che oggi è festa.
Se uno vuole vedere.
Solo l’Università Cattolica è
silenziosa e non girano gli studenti nei viali e nelle aule.
Con un raro gesto di gentilezza e
sensibilità Isa ieri sera mi ha passato la luce di Cristo con un lumino acceso.
Tutto era immerso nel buio, tranne l’altare e Maddalena nella culla impersonava
Gesù Bambino.
Una celebrazione eucaristica lunga e
americanamente sentimentale si stava allungando nel tempo.
Alla Comunione, ricordando mio babbo e
mia mamma gli occhi mi si sono inumiditi.
Icio si volta, allunga la mano e mi
augura Buon Natale, gli occhi mi si allagano.
Quando Isa si volta e mi dice qualcosa,
la distinguo a mala pena.
E’ il primo Natale lontano da casa e
dagli amici, senza più i miei genitori.
Su questa isola, solo, con l’immenso
Oceano Pacifico sulla destra e la mia terra lontana, vista dalla parte dove
tramonta il sole. Ce n’è abbastanza. Icio e Isabella con i loro figli e Lia –
Hsi Hsiao Jung in mezzo a loro sono oggi la mia famiglia.
Quando vedo tanta gente che si avvicina
alla Comunione, ma riceve solo una benedizione perché non è ancora battezzata,
mi viene in mente con quanta incoscienza spesso mangiamo il Corpo di Cristo.
Qui è Natale, prima che altrove. Il
Papa sta riposando un po’ dopo il pranzo della Vigilia ed in America stanno
facendo appena la colazione. Qui è già notte. Gesù Cristo nasce qui, ora. E
nessuno lo sa. Solo pochi cristiani.
Torniamo a casa e facciamo festa. I bambini hanno ricevuto un sacco di regali. Anche a me hanno pensato. Un bellissimo vaso cinese. C’è su una scritta. Neppure Lia la capisce. E’ sempre un bel gesto di affetto. Cosa posso dire dell’ospitalità di questa famiglia in missione? Un’allieva di Isa, dopo averla sentita parlare del Natale, le si è avvicinata e le ha detto: “Da come ci hai parlato vorrei tanto passare il natale con te e con la tua famiglia”.
“Questa è la domanda che tutti fanno prima di rassegnarsi ad essere cristiani come noi: “Come fate ad essere così?”” dice Giussani.
Ed il Corpo di Cristo si dilata.
26.12.1998 S. Stefano
Il sole splende su Taipei e la
temperatura è sui 15°. Ieri sera ho visto le stelle.
Dopo una notte per la gran parte
insonne dovuta penso ai (buonissimi) formaggi francesi, passata a resistere
davanti ai programmi di circa 80 canali della televisione, non dico alle
tentazioni della carne dei film notturni quanto alla attrattiva dei cento maghi
e delle mille proposte di cerotti buoni per tutto, dallo sciogligrasso, al
dimagrante, all’antiacne, all’allungatore, sì, un cerotto che applicato sotto
il piede dà un’energia tale da far crescere di 10-12 cm una persona, le ragazze
in particolare, o quello che applicato sulla pancia o sulla coscia, anche sotto
la minigonna, garantisce un fisico da sballo (per gli standard locali!), comunque
fra notizie rigorosamente in cinese e lezioni, in inglese, di mandarino (la
lingua) ho visto il cielo schiarirsi e Icio alzarsi tre volte e Isabella pure.
Solo Davide dorme e le cannonate non lo spostano neppure.
Ieri, al Christmas Party, ha provato a
fare il delfino. E’ caduto nella vasca del piccolo parco, sotto gli occhi
vigili, ma immobili di Chang Kai-Schek, bagnandosi tutto.
“Hai avuto paura?” gli ho chiesto dopo
averlo aiutato ad uscire fuori dall’acqua.
“Se c’erano gli squali…” mi ha risposto.
Mi ha fatto ridere.
Fradicio come un pulcino è stato
portato a casa da una signora. Isabella gli ha tolto tutto.
Nudo come un verme, meglio come un
delfino, ha fatto la doccia e rivestito con la tuta di Natasha.
Come se niente fosse!
Natasha è una bambina di otto anni e
mezzo. Sua mamma, la padrona di casa, è una signora francese di Lyon, vissuta
sempre all’estero, Africa, America, Oriente e sposata con un cinese di Taiwan.
Natasha è Naomi Campbell da piccola.
Dire incantevole non rende l’idea. Un fisico perfetto, da modella, snella, magra, carnagione scuro-olivastra, labbra carnose, lineamenti gentilissimi. Anche la sorella più grande Ashley è bella ed il fratellino più piccolo anche. Lei però è veramente da non credere. Anche Isabella è d’accordo e Icio lo stesso. Tutti gli altri bambini, delle altre coppie, sono belli, tutte mamme cinesi ed il babbo, chi americano, chi neozelandese, chi inglese.
Sono buffi questi party. Ognuno porta
qualcosa e si mangia un po’ qua un po’ là, chiacchierando, ma non insieme, si
parla di tutto e di niente, della bontà del cibo, del breast feeding, del
mercato azionario e delle proprie terre d’origine. Si mangia il tacchino, il
cheese cake, c’è dell’ottimo vino francese, si fanno i regali ai bambini e si
brinda con lo champagne. Le lingue ammesse sono l’inglese, il cinese.
La padrona di casa amabilmente parla
con i figli in francese ed abbraccia il marito che, comparso all’improvviso e
perfettamente estraneo allo spirito ed alla forma del party, mangia qualcosa da
solo e saluta con un imbarazzato Merry Christmas, quasi fosse il postino,
venuto a recapitare qualcosa, a cui cortesemente è stato offerto da bere.
La bellezza di Natasha è sconvolgente. “Spero che il buon Dio le dia una forte dose di saggezza, altrimenti da grande manda in malora se stessa ed un sacco di uomini” ho detto a Isa quando siamo tornati a casa. Si è messa ridere.
Anche sua mamma è molto bella, con
occhi azzurri molto intensi. Con il suo modo di fare americano e la “malizia”
tutta francese, cosa mai è venuta a fare a Taipei, come ci è capitata? Ma la
domanda non mi esce dalla bocca. In questa casa tutto parla di lei: è fatta a
sua misura, il gusto stesso nell’arredamento, nella cucina e nelle letture,
perfino i prodotti per il bagno.
Sandra, la cinese-americana di Portland
nell’Oregon ha un tratto ed un carattere interessante. Non è superficiale,
nessuna delle donne presenti lo è, ma, sembra, non dover nascondere niente.
Appare sincera. O è un’impressione? Peccato non sapere la lingua!
La cosa più interessante di cui ho
sentito parlare come argomento è stata la somiglianza fra la lingua italiana e
quella spagnola.
I rapporti fra Isabella e Jessie, una
di loro, sono molto cordiali.
Forse la cosa più interessante l’ha
fatta Davide cadendo nella piscina degli squali! Non so.
C’erano due presepi molto belli in
quella casa, non so quanto fosse presente Gesù nella nostra coscienza. Eppure.
Come mi ha detto una volta don Giorgio Pesaresi, il mio amico: “Quello che
salva una situazione è qualcuno che vive lì con la coscienza che Cristo è
presente”.
Ad un certo punto, seduto sui gradini,
ho guardato tutto intorno, tutti e me stesso, e ho detto: “Ti offro”.
Icio e Isabella stavano lì come chi
offre tutto.
Poi, vai a leggere nel cuore degli uomini!
Usciti fuori, c’erano le stelle. Natale
è passato. Non siamo tornati a casa tristi. Stanchi sì. I bambini dormivano.
Tortellini alla panna. Telefonate da e per gli amici. Un film con Sean Connery.
Natale qua non si vede. Gesù Cristo in
noi ed in mezzo a noi sì.
Veni Sancte Spiritus Veni per …”piacere” come dice Franceschina, quando non si ricorda.
28.12.1998 ore 9,30
Che dire? Oggi è la festa dei Santi
Innocenti. Oggi è l’ultimo giorno di questo mio
viaggio-pellegrinaggio-scoperta. Ho sempre avuto nel cuore che la Madonna mi
abbia accompagnato sempre. Non oso dire che l’ha reso possibile: io l’ho sempre
pensato. Nei miei tradimenti, nelle mie distrazioni, nelle mie tante
ingratitudini Lei mi ha sempre guardato. Non è una fantasia. L’accoglienza di
don Francis, la compagnia di don Pezzola, l’amicizia così tenace e libera di
Icio e Isabella, l’amicizia sapiente e cordiale di Hermes e Diana l’ho sempre
letta come una particolare benevolenza nei miei confronti della Madre di tutti
noi. Non sono mai stato lasciato solo. Ho sempre desiderato esserLe davanti
come un figlio. Mi dispiace tantissimo venire via di qui.
Hermes è una miniera. Sa tutto ed aiuta
moltissimo a capire ed approfondire tante cose cinesi. Diana è una cinese
stupenda. Oltre la bellezza è gentile. Aspetta un bambino.
Ieri sera Hermes, dopo la Messa, mi ha
invitato a mangiare in un ristorante buddista. Solo cibi vegetariani. Squisiti
è dire poco. Ho pensato a don Giancarlo. Ogni volta che mangio nei ristoranti
cinesi penso a don Giancarlo, che è un buongustaio e chissà come gusterebbe
queste cose.
Ogni volta che mi stupisco di fronte alla Cina penso a don Giancarlo.
30.12.1998 ore 3,30
Sono a casa in Italia.
Un libretto a parte meriterebbe
solamente Davide.
Il diario è finito d’improvviso a Hong
Kong.
A mo’ di post scriptum voglio solo
ricordare la frase di Davide, in una serata incantevole passata nel parco del
Chang Kai-Schek Memorial facendo cena a panini Mc Donald con la famiglia di
Icio e Isabella.
Dopo aver visto leoni e draghi in ogni
siepe o boschetto ed aver notato, unico, un ragno che faceva la casa ha
esclamato: “Però, che difficile questo mondo con tante cose!”
Essere saggi a quattro anni e mezzo è
una bella cosa.
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