mercoledì, agosto 02, 2017

Batecca

I bambini, birichini, ridevano e scherzavano con Batecca. 
Gli davano da dire, si facevano avanti e poi scappavano via, quando lui fingeva di aprire il cancello dell'orto per inseguirli.
Correvano via urlando e schiamazzando, avvertendo tutti gli altri che stava arrivando Batecca.
Lui si divertiva, fingendo di arrabbiarsi. 
Qualcuno, i più coraggiosi, si avvicinavano per chiedergli scusa e lui li guardava e rideva con loro.
Batecca era il soprannome di suo nonno e lui, ormai più che nonno, lo portava ancora con onore.
Nessuno dei bambini sapeva che si chiamava Primo o Pino, come era conosciuto dai famigliari e dagli amici.
Primo era il vigile del Casale, dal Fondo al Ghetto, un vigile senza divisa. Camminava su e giù e conosceva tutti, più volte al giorno, entrava nei cantieri, guardava gli orti, controllava la strada e il traffico, attento a cosa succedeva.
Sedeva davanti alla chiesa o davanti a casa sua e interloquiva coi passanti conosciuti o sconosciuti, commentava, dava da dire alle spose; ma la sua amica di chiacchiere preferita era la Nella. 
La cercava, lei cedeva o si negava, parlavano e non si capivano e ognuno diceva che l'altro era sordo. Era bello vederli sotto gli alberi sulla panca di cemento ormai consunto dagli anni e dalle intemperie. 
Una coppia perfetta.
La vera coppia però, il vero unico amore di Primo era l'Elvira, che l'aveva assistito tutta la vita, compiendo quel "sì" detto a 16 anni. Sì a lui, ai vecchi di lui, ai fratelli di lui, come usava una volta, quando le spose giovani lasciavano la propria famiglia per entrare in quella del marito, con tutto quello che comportava: lavoro, fatica, servizio e figli.
Primo che aveva lasciato con lei la terra diventata troppo grande in collina per venire a lavorarne una più piccola in pianura.
Primo che era sempre andato in chiesa e qui, nel nuovo paese, era preso in giro dai compagni perché dava retta al prete. "Cus cl'ha det e prit a la Messa?" lo minchionavano e lui: "Che tci un pataca!" e dritto per la sua strada, sempre sincero e sempre rispettoso.
Ne aveva passate nella sua gioventù! In guerra, catturato dai tedeschi dopo l'8 settembre, era stato anche in Germania, mangiando bucce di patate e sperando, chissà, di poter tornare a casa. E ce l'aveva fatta. ,
"Non muoio neanche se mi ammazzano" diceva Guareschi e Primo, col suo buonumore era l'emblema vivente di quel paradosso. 
Magro spinto, quasi cadavere, era tornato e si era ripreso e aveva sposato l'Elvira, "che era sempre stata brava...solo da vecchia era diventata un po' birichina" diceva ridendo col suo sorriso a 32 denti, seduto sul divano con le gambe accavallate e lo sguardo sempre attento.
Poi il padrone del campo aveva venduto la terra a dei signori che facevano i mattoni, ponendo una condizione, che il suo "cappello d'oro poggiato sulla testa" (così esprimeva la sua stima per questo capofamiglia di lavoratori onesti) fosse assunto nella fornace che doveva essere costruita e lo fu. 
Il Primo contadino divenne un ottimo costruttore di mattoni e, mattone dopo mattone, tirò su anche la sua casa con un pezzo di terra da coltivare.
E l'Elvira sempre vicina, paziente, ospitale, attenta, servizievole come lo era stata da giovane, instancabile nelle pulizie degli uffici o nell'assistenza ai famigliari ammalati in vari ospedali.
Ogni mattina, la prima passeggiata di Primo era alla chiesa vicino casa, un pater, qualche preghiera, qualche parola se c'era qualcuno e via, per l'impegno quotidiano su e giù per la strada, le mani intrecciate dietro la schiena, il pensiero e l'occhio sempre rivolto attorno a sé.
E le chiacchierate all'ombra con la Nella, che non capiva niente...
E le parole con chi passava davanti a casa sua magari alle due del pomeriggio senza avere ancora mangiato. Un saluto e un sorriso cordiale sempre sul viso.
Poi un bel giorno la Nella lo aveva lasciato da solo e Primo non sapeva più con chi parlare e a chi dire: "T'an capesc gnent" mentre il tempo avanzava e i giorni passavano senz'acqua. 
Il prete continuava come sempre tutte le domeniche ad andare a casa sua a fare colazione, come tutti i parroci che aveva conosciuto. L'Elvira preparava il caffelatte con una brioche enorme mentre si  chiacchierava, si rideva e Primo faceva sentire la sua forza dando al malcapitato ospite il "morso del cavallo" sulla gamba o stringendo la mano con la morsa d'acciaio. E giù a ridere.
Arriva il caldo caldo e Primo non è più lui. 
Non mangia, non ha fame, esce poco, non vigila più e cade, una, due volte.
"im cema". Mi chiamano.
Pochi giorni, qualche flebo e Primo...
Il 2 agosto, il giorno del Perdono di Assisi. 
Tutto è compiuto.
La Nella e Primo ora chiacchierano senza offendersi, si capiscono come mai prima d'ora.
Aspetta l'Elvira, la fedele Elvira, quando sarà ora, la sua sposa per sempre.
Che bella avventura la vita!

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